Archivio per la categoria OPUSCOLI E RIVISTE

Al chile

"Al chile"
di Marina, 25 años, vj (video jockey)

R-esisto:  es hacer video, poner atencion en lo ke veo en las calles, en lo que dicen las paredes, en el rostro de la gente…y no cerrar los ojos

 

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Disegnare il mondo

"Disegnare il mondo"
di Tiziana Todisco

Vorrei che il mondo fosse
un disegno
per poterlo cancellare,
oppure colorerei tutto di giallo
per dare luce
a questo mondo di tenebre.
Con una gomma
cancellerei la guerra,
l’odio, la sete di potere,
la droga, la morte.
Ma non è possibile!
Così mi limiterò a
cancellare la parola
“guerra”
dal mio quaderno.

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Il mondo

"Il mondo"
di Tiziana Todisco

Il mondo può sembrare
innocente
se guardiamo un bimbo
che gioca;
può sembrare bello
se guardiamo
il sole che sorge;
sembra meraviglioso
se guardiamo il mare;
sembra dolce
se sappiamo che due ragazzi
si amano…;
ma per chi ha nel cuore
solo tristezza
angoscia e solitudine,
allora il mondo
per lui
è solo vuoto IMMENSO…
“E QUESTO CREA RABBIA”

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Mi resistencia

"Mi resistencia"
di Marina, 25 años, vj (video jockey)

Mi fa arrabbiare/come resisto: mi resistencia es hacer video, poner atencion en lo ke veo en las calles, en lo que dicen las paredes, en el rostro de la gente…y no cerrar los ojos.



Il video in altri formati: 
qui 


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Rabbia degna!

Sono numerosissime le opere giunte per "rabbia degna" il concorso senza vincitori ne vinti. Nei prossimi giorni metteremo online i materiali ricevuti e daremo ulteriori informazioni relative al proseguio di questo progetto! Grazie mille a chi ha deciso di partecipare manifestando la propria r-esistenza!

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La viola e il clarinetto

"La viola e il clarinetto"
di Afroditea

clicca qui per ingrandire l’immagine 

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Beau comme une prison qui brule

"Beau comme une prison qui brule"

foto 1 di David Metra, testo e foto 2 di Julie

 


Immagine 1: clicca qui per ingrandire
 
Les centres de retentions administrative de Vincennes, CRA1 et CRA2 brulent le 22 juin2008. L’ensemble des 2 batiments faisait de ce centre le plus grand de France. 

Les relations entre les détenus admistratifs et l’extérieur ont permisde savoir à plus forte raison ce qui ce passait à l’intérieur.Plusieurs collectifs se sont alors montés autours des CRA et énormément de témoignages en sont sorties et ont étés diffusés. Tabassage, maltraitance physique et verbale, humiliation, soins médicaux non distribué, intervention des CRS dans l’enceinte; la liste est longue de ce que subissent quotidiennement les détenus des centres de rétentions administratif.
Depuis l’été 2007, plusieurs fois par semaine des rassemblements on eu lieu devant le CRA de Vincennes.

Le 21 juin 2008, un homme de 41 ans décède dans le centre de Vincennes. La préfecture annonce un suicide, les détenus crient à l’assassinat. En réalité cet homme avait été maltraité et malade du coeur il nécéssitait de médicament, que ce jour là les surveillants ont refusés de lui donner. Le soir meme un rassemblement à lieu devant le CRA, mais trop peu nous avons très vite étés évacués. Une émeute commence à l’intérieur du centre de rétention et durera toute la nuit, ammenant l’intervention des CRS. 

Le lendemain dimanche 22 juin 2008 à 15h30 nous n’étions que quelques personnes devant le CRA2 lorsque des flammes ont commencés à sortir par les fenetres. 
A 16h30 les deux centres de rétentions brulaient. Nous étions alors des centaines dehors. Certe de la révolte, mais beaucoup de désespoir car autre qu’un geste de libération c’est aussi de l’auto-mutilation que de mettre le feu enfermé dans une cellule Plus de 50 personnes ont étés transportés à l’hospital, asphyxiés par la fumée, car retenu dans la cour entre les 2 batiments en feu. D’autre gazé dans le gymnase pour trouver les responsables. Transférés à minuit vers d’autres centres de rétentions, ces hommes sont sortis pleins de rage et de révolte, criant:“ LIBERTE”, “PIERRE PAR PIERRE, MUR PAR MUR NOUS DETRUIRONS LES CENTRES DE RETENTION”.
Dans les jours suivant une centaine de personnes ont étés libérés pour faute de procédure. 

La lutte contre les centres de rétention continue

PIERRE PAR PIERRE, MUR PAR MUR NOUS DETRUIRONS LES CENTRES DE RETENTION.
 

Immagine 2: clicca qui per ingrandire
 

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Si te resistes te golpeo

"Si te resistes te golpeo"
di Trixia Lara

Foto tomada en Garibaldi de la Cd. de México 

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La commedia della precarietà

"La commedia della precarietà"
di Zero Lab Station

Mi fa arrabbiare: Ora come ora, la retorica del potere. Quella di chi si è svegliato ungiorno ed ha cominciato a parlare di crisi solo perchè il suo giocattolo (finanziario!) andava in frantumi. La retorica anti-liberista di chi è statosostenitore del liberismo sfrenato e selvaggio della prima ora, dellafinanza creativa. A loro noi diciamo: noi la crisi non la paghiamo!

R-esisto sognando, sperando, e lottando per la costruzione di un mondo più giusto epiù equo.

 

  http://noblogs.org/flash/mp3player/mp3player.swf

commedia.mp3 

 

C’è chi lo chiama dramma chi la chiama tragedia
Io vi racconterò solo di una commedia
Comincia il primo atto mettetevi giù chini
E non vi accalcate non ci sono botteghini
Ci sono solo sogni e vite spezzate
A recitare in quinta storie mai raccontate
Il costo del biglietto è la tua dignità
Benvenuto alla commedia della precarietà
La crisi sono io
In scena vado io
Perché la mia memoria
Non sia soltanto oblio
Commedia in tre atti in scena va il secondo
Spartirsi le ricchezze e le risorse di sto mondo
Niente più diritti niente più garanzie
Attacchi e solo attacchi e anni di idiozie
Diffondere un controllo un controllo capillare
Confonder bene tutto col teatrino elettorale
Una cospirazione detta lesa maestà
Benvenuto alla commedia della precarietà
La crisi sono io
Ora c’è l’atto terzo con il colpo di scena
Come piantare un calcio dritto nel fondo schiena
Il tempo della crisi in cui cresce la rabbia
Offusca il tuo cervello come fosse solo nebbia
Ora ne vengo fuori adesso dico basta
Sorrido e prendo fiato questo è tempo di rivolta
Il costo del rispetto della tua dignità
Benvenuto alla commedia della precarietà
La crisi sono io
Benvenuto alla commedia della precarietà

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Passato imperfetto, c’ha da diventare remoto

"Passato imperfetto, c’ha da diventare remoto"
di Yabasta, studente di 16 anni al liceo di Bellinzona con orientamento classico. Mi definiscono ciapato del computer e su questa macchina smanetto svariate ore al giorno; amo chi vive ancora lo sport fuori dalle logiche del mercato che lo stanno distruggendo e chi lotta per i propri colori e ideali. – http://yabasta.noblogs.org

Mi fa arrabbiare: ci sono tantissime cose che mi fanno arrabbiare, ma più di tutte può l’indifferenza delle persone davanti a tutte queste “tantissime cose”.

R-esisto andando avanti a testa alta, con l’amicizia di tutt* i/le compagn*, lottando.

 

A chi (r)esiste, ieri oggi domani.

Sento il bisogno di scrivere. Salendo per la ripida collina che porta al complesso di morte i pensieri turbinano per la mente, ma assai più pesanti si fanno quando si intravvedono i camini dei forni crematorti stagliarsi verso l’azzurro cielo. Varcando le spesse mura del campo di concentramento di Mauthausen-Gusen si prova una strana senzazione: "Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate’ ", le viscere somigliano un toboga. La vista prosegue sotto il sole cocente tra filo spinato arrugginito, lapidi di commemorazione di ogni lingua o cultura e baracche di legno intaccate dal tempo. Ma il momento più delicato e ricco di emozioni è arrivato: le piastrelle bianche mi circondano gelide e il cartello Gaskammer mi penetra come un piccone nei neuroni. In questo luogo furono uccise migliaia di persone. Questa consapevolezza mi fa tremare le gambe. Pian piano, intontito, proseguo il mio vagare tra questi muri che trasudano morte e sofferenza; le micidiali testimonianze non si fermano: Sezierraum, Leichen-Raum e le foto di migliaia di vittime sono solo alcuni dei segni tangibili dell’orrore che era. Provo rabbia nel vedere le persone che camminando tra queste mura non percepiscono nessun’ sentimento e con il loro comportamento usurpano la memoria di un luogo dove appena cinquant’anni prima un essere umano venne ucciso per la bandiera raffigurata sul suo passaporto. Non ho ancora visto tutto, mi dice la guida che ho acquistato all’entrata: La scala della morte era un altro dei vili metodi che i nazisti usavano per eliminare i diversi. Centoottanasei gradini alti ed irregolari che i prigionieri percorrevano innumerevoli volte al giorno oberati da blocchi di pietra, pesanti fino a 50 chili e prelevati dalle cave di pietra sottostanti, gli augzzini poi facevano la loro parte per spezzare il numero più elevato possibile di vite. La giornata è finita, ma non sono più lo stesso. La sera, nel letto angusto del camper, il sonno stenta a prendere il sopravvento e le sinapsi sono in fermento. Dopo questa giornata ricca di significato sono ancora più convinto e sicuro. Più convinto e sicuro che la lotta perché quello che era diventi per sempre quello che fu sia necessaria, ora e sempre. Ma la rabbia ha un posto di rilievo nello spettro dei miei sentimenti: la rabbia contro chi pensa che tutto sia finito, che tutto sia perfetto in questo mondo. Provo odio verso le persone che chiudono gli occhi davanti al razzismo in cui ogni giorno viviamo, davanti a queste testimonianze del passato, davanti all’omofobia; davanti alla paura del diverso, oggi come ieri.

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Oltre a sé senza oggetti resistere – riflessione su un modo di esistere ipersoggettivo-

"Oltre a sé senza oggetti resistere – riflessione su un modo di esistere ipersoggettivo –"
di Francesca Ida Calogero


Oltre a sé

Ci sono delle persone attorno a noi, costantemente. Anche nel luogo più solitario il proprio pensiero ci collega agli altri. Chissà che per l’uomo non sia l’intelletto ciò che per il cane è l’olfatto e per i gatti l’udito. Un mezzo per captare la presenza dei nostri simili, e le loro esigenze e intenzioni. Solo, che non è istintiva, questa capacità, e deve essere coltivata e mantenuta.
Nulla di ciò che faccio lo considero dovuto al caso. Nulla. Tutto segue un ben preciso svolgimento di cause e di effetti di varia natura. Il modo in cui mi rapporto agli altri è determinato da come io penso a loro quando sto con me stessa, più che da come gli altri pensano a me e dunque agiscono verso di me. Sono io a scegliere le mie reazioni e azioni, che non sono mai dovute, ma decise. E allora, quando sul treno si iniziano a vedere "facce strane", forse ci si dovrebbe occupare un poco di più dei propri pensieri strani.
Quando la gente per la strada è tutta maleducata o cattiva, o ignorante, magari si potrebbe fare attenzione a cosa si osserva in quella folla che si percepisce come cattiva. Pensare. La sola cosa che possiamo fare da soli e in ogni momento per tutti. Ci sono delle forze impiegate a rendere tutto più difficile e complesso. Confondere i concetti pare lo scopo ultimo della comunicazione di massa. Ragionare serve per non cadere nelle trappole. Smontare la falsa logica, decostruire i preconcetti, costruire nuove interpretazioni delle cose, in modo da potere agire in modo differente, diciamo pure sostenibile.
Ecosociopsicoecceterasostenibile.

senza oggetti
Un giorno ho smesso di comprare le cose che mi piacevano e ho iniziato a comprare solo ciò che mi serviva.
I maglioni sono sempre un poco sfilacciati, ma arriva poi un giorno in cui il piacere di indossare un maglione nuovo assomiglia ai mitici racconti dei regali di natale di bambini che ancora non avevano conosciuto l’amarezza del dono nell’era dei consumi. Gli oggetti si appropriano di te più di quanto tu ti possa appropriare di loro. E allora, allora ammorbano, con il loro pacchetto di contenuti emozionali e tutte le implicazioni contestuali che si portano appresso. E quello che manca spesso è la leggerezza… In maniera strana, più un oggetto è carico di senso, e più diventa leggero…e questo senso si può chiamare anche aura.
Gli oggetti necessitano del tempo per acquisire un’aura. La mia bicicletta è una vecchia bicicletta. Deve essere nata molto prima di me. Si fa fatica a pedalare e bisogna ripararla ogni tre giri. Però le voglio bene… E forse è questa una delle caratteristiche che occorrono per evitare il consumismo… affezionarsi agli oggetti per il loro uso, evitare il colpo di fulmine, e stabilire legami duraturi e amorevoli con le cose.

R-Esistere.
Quello che non voglio è essere complice. Non voglio escludere, non voglio imprigionare, non voglio uccidere. Non voglio neppure permettere che con le mie azione questo avvenga in maniera indiretta.
Come dimostrare che sono i piccoli gesti a generare la realtà? Ogni scelta, il modo di spostarsi, di divertirsi, di comunicare, di possedere. Quando si fa qualsiasi cosa si sottoscrive una dichiarazione di intenti. Le proprie scelte assecondano o rinforzano pensieri, reazioni e azioni che non sono sempre dichiarate. Conoscere, relativizzare, contestualizzare. Ciò che si sceglie in ogni ambito va a rinforzare o indebolire dei gruppi altri. Le mie scelte costruiscono la mia realtà mentre modificano altre realtà.
La propria realtà è ciò su cui si può avere maggiore potere. Occorre riflettere. Ricostruire la verità in ogni momento per non mantenere intatte le menzogne a cui si è creduto. Essere attenti, svegli, e forti. Tanto forti da non volere sottomettere nessuno, tanto forti da non dovere per forza credere in niente. Tanto forti da non dovere seguire nessun potere. Io cerco di creare un pensiero che governi delle azioni degne. Prendere possesso di sé per non dovere legittimare alcun capo.

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La loro aula è la mia trincea

"La loro aula è la mia trincea"

di Olli

Renaud, storico rocker francese, cantava: “Ci sono più fascisti nel tuo corso di giurisprudenza che in un reggimento di Parà.” Difficile dargli torto, cosi come è difficile resistere quando ogni mattina sei catapultato dal tepore del tuo spazio vitale a un aula insipida e grigia dove a spiccare sono il viola delle gonnelline ultimo grido e i cadaveri di conigli che ornano colletti e maniche dei giubbotti di marca. Difficile resistere agli sguardi che ti scrutano nel vestito per vedere dov’è stato prodotto (“in Thailandia? Che schifo.. pensavo fosse francese!”). Difficile persino intravedere il professore che parla di diritti fondamentali in una giungla di computer mentre Facebook ci vomita addosso l’insignificante intimità del nostro compagno di banco. Difficile resistere tra gli studenti di oggi, tra i potenti di domani.

Eppure resistere si può, resistere si deve.
Si può farlo dovunque, persino in una facoltà di diritto, se il caso e la tua storia personale ti ci fanno trovare. Si tratta però di una resistenza strisciante e sottile. Diversa da quella dei grandi manifesti, degli scontri di piazza, degli orecchini in faccia, dei capelli fluo e delle magliette esaltanti una lotta armata che forse converrebbe tenere celata nei muri e nelle cantine, in attesa di momenti e sensibilità più propizie. È una resistenza costretta nei libri e nelle biblioteche, nei giornali, nei discorsi, da dove trasmettere e contagiare con argomentazioni che vanno oltre slogan il cui abuso ne ha usurato il senso, rendendoli ostici anche agli uditi meno restii. È una resistenza che sostiene dei diritti, delle necessità sociali, passando dall’astratta codificazione alla concreta applicazione. Si può resistere anche attraverso la legge, e non solo difendersi e barricarsi, ma anche camminare, avanzare, progredire e costruire.

Si può farlo perché a Amsterdam le case sfitte da più di un anno possono essere occupate, e ciò è in strada, ma è anche nelle leggi. Si può farlo perché forse un domani potremmo fumarci un canna sulla panchina del parco Ciani, e ciò anche perché sarà nella nostra Costituzione. Si può farlo perché sul piano di Magadino ci sono i pomodori, e non il cemento, perché sul ceneri non ci sarà uno stand di tiro e perché nelle aule di scuola elementare non ci sono i crocifissi. E questo perché lo abbiamo voluto noi. Le nostre schede nell’urna e la democrazia nella Costituzione hanno allontanato il cemento dal fondovalle come il tribunale federale ha allontanato il simbolo di Cristo dai bambini di Cadro.
Resistere non è solo una possibilità, ma anche un dovere: Bisogna essere partigiani, non indifferenti. Senza dimenticare anche altre parole di Gramsci, non meno vere, e cioè che a sbattere la testa contro il muro è la testa a rompersi, non il muro. Bisogna agire nel modo più utile e concreto possibile, perché i bei discorsi non garantiscono diritti, i codici lo fanno, almeno sulla carta.
Si deve resistere anche perché la strada è infinita e l’obiettivo è l’orizzonte. Perché Marco, Joana, Peña e molti altri cercano il cielo e trovano un muro di cemento. Perché c’è chi non ha casa, non ha cibo, non ha vita. Si deve resistere perché in galera ci stanno i poveri, mentre spesso chi ha rubato i milioni se li sta bevendo al bar. Si deve farlo anche perché “la legge è uguale per tutti”, ma noi siamo tutti diversi. Si deve resistere perché gli aerei militari non li vogliamo, perché le leggi razziste non le vogliamo, perché vogliamo il Molino per 10 anni e 10 anni ancora, e tutto questo, volenti o nolenti, in questa società passa anche dalle leggi, e queste leggi passano anche dalle aule delle università, proprio quelle piene di fascisti incravattati.


Quindi è questa la mia trincea, la mia selva, il mio covo. Non con passamontagna ma con codici e dottrina metto in atto la mia personale resistenza, sparando parole di fuoco contro liberticidi e le ingiustizie.

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L’infernale paradiso

"L’infernale paradiso"
di Maurizio Cerri

L’infernale paradiso Maurizio Cerri, Sonvico – CH, dicembre 2008

Rientro da una passeggiata con mia moglie. Costeggiamo il parco della villa Thyssen a Lugano: cancelli, muraglioni, fitte siepi, spuntoni di ferro. Malgrado le leggi cantonali prevedano il libero accesso alle rive del lago, dobbiamo percorrere il tratto superiore lungo la strada trafficata, abbandonando la riva soleggiata e le acque luccicanti che riflettono il sole invernale.
Tento di raccontare la testimonianza della sorella di Giuseppe Demasi, uno degli operai della Thyssen Krupp di Torino, morto dopo un mese di atroce agonia, bruciato con altri sei suoi compagni il 6 dicembre del 2007 nella fabbrica in cui lavorava. Riesco a dire solo poche frasi, l’emozione è troppo forte, il groppo alla gola si fa subito sentire e non riesco a trattenere le lacrime. Smetto, non voglio farmi vedere piangere. La sorella di Giuseppe vive una rabbia indicibile, ingovernabile, opprimente, totalizzante, un dolore che l’ha catturata e di cui difficilmente riuscirà a liberarsi. Lo stupendo parco sottostante si mostra solo con le cime dei cipressi e solo nella prima parte lascia intravedere qualcosa di sé. Per gestirlo una squadra di giardinieri vi lavora a tempo pieno. Ogni anno i baroni Thyssen spendono mezzo milione di franchi per mantenere il giardino ormai da loro non più frequentato e interdetto agli occhi del pubblico. Per il “miglioramento degli impianti fissi antincendio” si prevedeva un investimento di 500’000 euro: lo si legge sugli appunti presi dall’operaio Antonio Boccuzzi in occasione di un incontro con la direzione dell’impresa nell’aprile del 2007. Soldi mai spesi. Intanto Antonio porta sul viso i segni delle ustioni di quel giorno maledetto. Due anni fa la compagnia di assicurazione della Thyssen Krupp aveva aumentato la franchigia perché la fabbrica di Torino non era più sicura. Un anno dopo, dalla linea 5, una lingua di fuoco di olio bollente ha carbonizzato sette lavoratori. Un cipresso è un po’ sofferente, leggermente piegato, mostra nella parte centrale numerosi rami secchi. Entro la primavera verrà sicuramente sostituito con un esemplare adulto: non bisogna rovinare l’armonioso filare di cipressi che conduce alla prima sobria villa utilizzata a suo tempo dalla servitù e che prosegue poi per quasi un chilometro. Che incanto, che delicatezza!

Io non so cosa voglia dire la rabbia, non ne ho la minima idea. “Voglio che i responsabili di quanto è avvenuto soffrano come ha sofferto mio fratello … che restino in galera per tutta la vita”.

Più volte ho avuto la possibilità di visitare il parco della villa e la pinacoteca, prestigiosa collezione privata ora finita nelle adiacenze del museo del Prado a Madrid. Sapevo benissimo dov’ero e cosa costava tutto ciò. Non i costi di acquisto e di gestione, ma i costi in dolore e in vite umane di chi aveva materialmente creato quella ricchezza e di chi aveva dovuto soccombere agli effetti devastanti di quanto la nobile famiglia ha messo in commercio. La dinastia dei Thyssen aveva accresciuto la propria ricchezza producendo armi durante la prima guerra mondiale, ma in seguito anche per le armate hitleriane. Recentemente si è saputo che la contessina Margit Thyssen-Bornemsiza nel marzo del 1945 in occasione di una festa da lei organizzata si era divertita con i suoi ospiti a massacrare a colpi di pistola e bastone 200 ebrei che teneva rinchiusi nelle stalle del castello di Rechnitz in Austria. Dopo si rifugiò a Lugano. Visse onorata e indisturbata fino alla morte nel 1989. La villa e il parco fanno pensare al paradiso, in primavera il profumo e i colori delle diverse varietà di glicine sono inebrianti. Anche i bombi impazziscono dalla gioia. Dal paradiso all’inferno. Dopo che la fiammata aveva bruciato gli occhi, le orecchie, la pelle di Giuseppe Demasi questi chiedeva ad uno dei suoi compagni accorsi per aiutarlo: “Giovanni, sei qui vicino? Guardami, guardami la faccia: com’è? Cosa ci siamo fatti, Giovanni?”

No, non so cosa sia la rabbia. Ho avuto la grande fortuna di poter gestire le mie rabbie in piena libertà e leggerezza. Nei tentativi di contrastare questo mondo schifoso mi sono potuto permettere di trovare la mia autonomia dall’inquinante carburante delle compagnie petrolifere riscoprendo la ranza (la falce fienaia) patrimonio di una tradizione lavorativa che va scomparendo; come contributo a salvaguardare la biodiversità ho riscoperto e impiantato antiche varietà di alberi da frutto; piccoli passi verso la decrescita li ho percorsi con le autoproduzioni, marmellate in particolare. La mia è una rabbia declinata nella gioia. Capisco che quella della sorella di Giuseppe non potrà mai più essere vissuta con dolcezza. Non la posso aiutare, anche questo mi riempie di rabbia, ma mi auguro che la rabbia gioiosa di tutti i privilegiati come lo sono io, possa congiungersi con le insopportabili rabbie di tutti gli oppressi della terra per costruire un mondo migliore, per r-esistere.

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Repressione

"Repressione"
di Chishiki: ludici esperimenti narrativi di filoquotidianità –http://chishiki.noblogs.org

Sei nei pensieri che hanno
un’ora di libertà,
nei cancelli chiusi
delle fabbriche,
nell’ardore
delle minoranze,
nei corpi ai bordi
delle strade,
nei campi coltivati
a mine anti-uomo.

Sei noi, sei l’esercito
delle nostre ipocrisie e paure,
la corsia preferenziale
di fuga, l’uscita antincendio.
Sei sempre stata qui,
e mai abbiamo gridato abbastanza forte
i nostri infiammati sogni.

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La mia r-esistenza

"La mia r-esistenza"
di Spartaco

La r-esistenza non esiste senza l’altro, senza una controparte, senza un’autorità reputata ingiusta. L’autorità di una minoranza di parassiti che impongono scelte politiche, morali ed economiche sulle masse, è quello che mi fa arrabbiare. Se fossi solo al mondo, o se vivessimo come esseri liberi ed uguali (o se fossi un borghese felice d’esserlo), non mi ribellerei e non sarei, di conseguenza, un rivoluzionario (alla mia maniera, con la mano non armata). La mia r-esistenza la voglio organizzata, deve essere una “lunga miccia”, che sì, farà esplodere qualcosa, ma al momento giusto e nel luogo adatto. L’esplosione immediata, il fuoco di paglia che non va oltre alla ribellione non è abbastanza. Io voglio la Rivoluzione Sociale. La mia r-esistenza quindi, oltre ad una controparte vuole dei partigiani, donne e uomini accomunati dallo spirito di giustizia e dalla dignità di essere determinati contro i prepotenti. Gente, un po’ come dicono gli anarchici, che vuole la pace tra gli oppressi, la guerra agli oppressori.

La mia rabbia nasce dopo aver provato vergogna ed imbarazzo nell’essere trattato meglio di altri – senza alcun motivo che lo giustificasse -, ho provato schifo con i leccapiedi che si prostrano, ho sentito parlare male degli immigrati, degli operai, di chi è debole e ha poco prestigio, di chi è un “senza voce” o è un po’ “sfigato”; in generale quindi, di chi sta per scelta o per ingiustizia alla base della piramide sociale/produttiva. Per scelta io voglio stare con questi ultimi perché la mia r-esistenza sia anche un’esistenza dignitosa, coerente con ciò che credo giusto, non imputridita dalle compagnie d’élite che sono spesso vuote e odiose nella loro superficialità, egoismo, cafonaggine. Tutto ciò senza generalizzare, senza trasformare la rabbia in un viscerale “odio di classe” ma mantenendola dignitosa per battersi al fine dell’eliminazione delle classi.

Cerco di impegnarmi per organizzare il malcontento, per offrire speranza e voglia di cambiare a tante altre persone. Quest’ultima condizione è forse necessaria per organizzare l’esplosione, per studiare la maniera migliore per lacerare le altrui e proprie catene. Per far sì che la mia miccia si intrecci con tante altre micce e, alla fine, produrrà una detonazione dove nessuno perirà ma renderà in polvere l’idea di gerarchia, di dominio e sfruttamento. Rivoluzione Sociale dunque! Non solo ribellione.
Utopia? Idealismo? Distacco dalla realtà? In parte potrebbe essere vero… Come è vero che senza gli ideali non si combina un fico secco…

In ultima cosa, ma non meno importante: la rabbia è anche quella che provo nella necessità più o meno condizionata di firmare questo scritto con uno pseudonimo.

Spartaco
(pseudonimo degno e r-esistente)

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