In serata abbiamo incontrato una delegazione di compagni deportati nel 2002 da Betlemme alla Striscia di Gaza in seguito ai loro 40 giorni di resistenza all’interno della Basilica della Natività assediata dalle truppe israeliane. In quei drammatici giorni 8 combattenti furono uccisi e 12 feriti, mentre coloro che sopravvissero, senza cibo né acqua, vennero catturati e deportati: 26 a Gaza e 13 nel resto del mondo, 3 dei quali in Italia. Il loro esilio sarebbe dovuto essere inizialmente di un anno, tramutatosi poi in più di 9; in questo periodo non sono potuti tornare per nessun motivo a Betlemme, neanche per i funerali dei loro cari. Alcuni di loro di fatto sono profughi due volte, perché dopo essere nati e cresciuti in un campo sono stati nuovamente esiliati dal governo israeliano. Ci hanno raccontato che nella fase iniziale l’Unione Europea ha tentato di trovare una soluzione, ma ben presto si sono resi conto, a causa anche dell’assenza di risultati, che dovevano essere ben altri i soggetti chiamati ad intervenire, ovvero coloro che in tutto il mondo combattono per la libertà dei popoli. Ci hanno tenuto inoltre a sottolineare che la tragedia della deportazione non sparirà dalla memoria con il passare delle generazioni, così come vorrebbe Israele, perché nutrono i loro figli con la consapevolezza dei loro diritti; le chiavi delle case che sono state tolte ai genitori sono ora nelle loro mani. Infine hanno voluto mandare un messaggio alla madre di Vittorio: “hai perso un figlio, ma da oggi puoi considerare tutti i palestinesi tuoi figli”.
14 maggio – Incontro con i combattenti della Chiesa della Natività
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