Contrainsurgencia e servizi segreti.


La Jornada – Venerdì 16 aprile 2010

Gilberto López y Rivas

Contrainsurgencia e servizi di intelligence 

Sono molte le interpretazioni sulla manovra mediatica alla quale si è prestato il giornale Reforma
alla fine di marzo, quando ha pubblicato un documento consegnato da un
presunto “disertore” dell’EZLN, nel quale si fanno “rivelazioni” – già
rese note un’infinità di volte – sulla struttura dell’organizzazione,
armi, collocazione territoriale dei suoi comandanti e le sue presunte
fonti di finanziamento, tra le quali ce ne sarebbe una dei Paesi Baschi
che in forma manichea si presenta come proveniente da ETA.

E’ stato talmente grossolano tutto il circo propagandistico montato dai cosiddetti servizi di intelligence,
in questo caso, la seconda sezione dell’Esercito, che non hanno tardato
ad arrivare le smentite e le confutazioni: la fotografia del presunto
subcomandante Marcos senza cappuccio, che il
disertore-senza-nome-né-volto dovrebbe conoscere molto bene, è
risultata essere quella di un cooperante italiano.

Qualsiasi giornalista mediamente informato e senza collegamenti con
Sedena conosce l’incandescente polemica epistolare che intercorse tra
il portavoce dello zapatismo ed ETA all’inizio del 2003, nella quale
quest’ultima affermava: “Abbiamo seri dubbi sulla vera intenzione della
proposta di dialogo nell’isola canaria di Lanzarote che lei ha fatto.
Ci sembra piuttosto una manovra disperata per attirare l’attenzione
internazionale strumentalizzando per questo l’eco di tutto quello che
ha a che vedere col conflitto basco, in particolare nello Stato
spagnolo. La forma pubblica, senza previa consultazione con cui lei ha
lanciato questa proposta riflette una profonda mancanza di rispetto
verso il popolo basco e verso tutti quelli che dalle loro
organizzazioni lottano in un modo o in un altro per la libertà”.

Marcos rispose: “Vedo che avete senso dell’umorismo e che
ci avete scoperto: noi zapatisti, che non abbiamo mai avuto
l’attenzione della stampa nazionale ed internazionale, volevamo ‘usare’
il conflitto basco che, come è evidente, ha copertura stampa in
eccesso. Inoltre, dal giorno in cui abbiamo fatto pubblicamente
riferimento alla lotta politica in Euskal Herria, i commenti positivi
sugli zapatisti, per strada e sulla stampa nazionale ed internazionale
sono aumentati. Rispetto al fatto di non voler far parte di nessun tipo
di ‘pantomima’ o ‘operetta’, lo capisco. Vi piacciono di più le
tragedie… Inoltre non abbiamo né i mezzi né l’interesse né l’obbligo di
‘consultare’ ETA prima di parlare. Perché gli zapatisti hanno
conquistato il diritto di parola: di dire quello che vogliamo, su
quello che abbiamo voglia e quando ci ne viene voglia. E per fare
questo non dobbiamo consultare né chiedere permesso a nessuno. Né ad
Aznar né al re Juan Carlos né al giudice Garzón né a ETA…

“Sul fatto di aver mancato di ‘rispetto al popolo basco’ è qualcosa
di cui ci ha accusato anche Garzón (il quale, di conseguenza, deve
autodichiararsi illegale, per coincidere con ETA nei suoi progetti) e
tutta la destra ispanica e basca. Deve essere perché proporre di dare
un’opportunità alla parola contravviene agli interessi di chi, da
posizioni apparentemente contrarie, ha fatto della morte della parola
il suo affare ed il suo alibi. Perché il governo spagnolo uccide la
parola quando attacca la lingua basca o la lingua navarra, quando
perseguita ed imprigiona i giornalisti che ‘osano’ parlare della
questione basca includendo tutti i punti di vista, e quando tortura i
detenuti affinché confessino quello che serve alla ‘giustizia’
spagnola. Ed ETA uccide la parola quando uccide chi la attacca con le
parole, non con le armi”.

Cito per esteso queste argomentazioni per calibrare la smemoratezza
indotta o l’ignoranza politica dei redattori del
rapporto-del-disertore, che prima di collegare le due organizzazioni
non hanno svolto il loro compito affinché quanto filtrato avesse una
parvenza di realtà. Ma se gli organismi di intelligence castrensi non
hanno svolto adeguatamente il loro lavoro, neppure minimamente come
avevano cercato di fare i loro omologhi colombiani per il caso dei
computer miracolosi del defunto Raúl Reyes, i lettori si aspettano che
quel documento dell’assente disertore, ora passato ad ex dirigente,
fosse stato verificato dai dirigenti di Reforma in quanto
alla sua origine reale, congruenza della sua argomentazione, verifica
delle fonti, opinioni di analisti “indipendenti” ed anche dei “vicini
allo zapatismo”, eccetera; cioè, un lavoro giornalistico professionista
ed etico, che, certamente, è molto chiedere in questi giorni.

Ciò nonostante, la cosa importante nel denunciare questa complicità
media-servizi di intelligence poggia sulle domande: che propositi ci
sono dietro questa messa in scena? Uno ovvio ed evidente è identificare
l’EZLN dentro le organizzazioni legate al “terrorismo”, e di
conseguenza intensificare la guerra di logoramento contro le comunità
zapatiste impegnate nei processi autonomistici di comandare obbedendo,
e particolarmente, giustificare politicamente incursioni militari
contro la dirigenza zapatista.

Questi stratagemmi mediatici coincidono con l’aumento dell’azione paramilitare e di intelligence in Chiapas, inerenti alla contrainsurgencia,
e con la complicità e protagonismo del governo statale in questa
persecuzione denunciata innumerevoli volte dalle autorità autonome
zapatiste.

Ma si sbaglino: oggi, come ieri, gli zapatisti non sono soli;
soprattutto in un contesto di deterioramento totale delle istituzioni,
di una presidenza usurpata e responsabile della peggiore crisi
generalizzata che abbia sofferto la Repubblica dal porfiriato; con la
guerra sporca e la violenza generalizzata nelle strade, posti di blocco
e strade sulle quali si uccide impunemente, mentre il poco che rimane
del paese finisce all’asta pubblica dai venditori della patria che
affermano di governare. http://www.jornada.unam.mx/2010/04/16/index.php?section=opinion&article=018a2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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