[Messico] Liberati i 12 prigionieri politici di Atenco


POPOCATÉPETL – La lava del Messico
a cura di Gianni
Proiettis, 1 luglio 2010

 

Presos políticos ¡Libertad!

Una sentenza della Suprema Corte de
Justicia de la Nación ha decretato oggi la liberazione di 12
comuneros di Atenco, incarcerati nel maggio 2006 dopo una brutale
repressione e condannati a pene fra 31 e 112 anni. Il loro unico
delitto era stato quello di opporsi alla costruzione di un aeroporto
sulle loro terre.
In un futuro Messico democratico, la lunga
lotta di San Salvador Atenco sarà ricordata nei libri di storia come
un episodio esemplare di resistenza popolare organizzata. Fino ad
oggi, aveva riempito casse e cassetti di fascicoli giudiziari,
manteneva in carcere dodici innocenti, vessati e maltrattati, e
illustrava un caso particolarmente feroce di criminalizzazione della
protesta e abuso di potere.

Ridente villaggio agricolo a una
mezz’ora da Città del Messico, Atenco arrivò alle prime pagine
dei giornali quando, nell’ottobre 2001, Vicente Fox, che non aveva
ancora festeggiato il primo anno di presidenza ma aveva già
ampiamente deluso le aspettative dell’elettorato, decretò
l’espropriazione di 5mila ettari di terre coltivate, al lato
dell’antico sistema lacustre di Texcoco, per costruirvi un nuovo
aeroporto, senza consultare minimamente gli abitanti.
Quello che
era stato progettato come un succoso business dal nuovo presidente e
alcuni amici si scontrò con la recisa opposizione di tutta una
comunità, erede da tempi ancestrali – e con documenti di epoca
coloniale che lo comprovano – di quelle terre fertilissime.
Più
offensiva ancora della ridicola indennizazione proposta (7 pesos,
meno di mezzo euro al metro quadro), sembrò la pretesa di sloggiare
dalle sue terre tradizionali una comunità che viveva da tempi
immemoriali – comunque da più di cinque secoli – in un
ecosistema lacustre, rispettandolo e conservandolo.

I machete
che gli Atencos brandirono come simbolo della loro resistenza
entrarono nell’iconografia del villaggio globale e riscossero tanti
appoggi e simpatie da costringere il governo a fare marcia indietro.
Ma Atenco, da allora, entrò nella lista nera del potere.
Il 3
maggio 2006, quando il sessennio di Fox stava per concludersi, a
partire da una provocazione poliziesca contro alcuni venditori di
fiori nel mercato di Texcoco, si scatenò una gigantesca operazione
di polizia contro San Salvador Atenco e i suoi abitanti.
La
ferocia di migliaia di agenti, che uccisero due giovani, ferirono e
torturarono decine di persone, violentarono o abusarono sessualmente
di cinquanta donne, arrestarono duecento manifestanti, distrussero e
saccheggiarono tutte le case, era stata evidentemente ordinata
dall’alto.

Dodici degli arrestati furono sottoposti a un
processo pieno di irregolarità, false imputazioni, testimonianze
guidate. Il leader, Ignacio del Valle, fondatore del Frente de
Pueblos en Defensa de la Tierra, un’organizzazione nata al calore
della lotta, stava scontando dal maggio 2006 una condanna a 112 anni
in un carcere di alta sicurezza. Due dirigenti dell’organizzazione
avevano avuto sentenze di 67 anni. Gli altri nove – fra cui uno
solo era militante del Fpdt – avrebbero dovuto passare i prossimi
trent’anni in galera, secondo i giudici ordinari.

Ma la
prima sala della corte suprema ha determinato, con quattro voti
contro uno, che gli atenchensi furono accusati di delitti – assalto
alle vie di comunicazione e sequestro equiparato – che non
commisero e condannati sulla base di prove false. Uno dei magistrati,
Juan Silva Mesa, si è riferito al caso come “una forma mascherata
di criminalizzare la protesta sociale”.
Va detto che a
reputazione della corte suprema aveva toccato recentemente il suo
punto più basso, con una sentenza che non indicava responsabili per
l’incendio di un asilo infantile di Hermosillo in cui erano morti
49 bambini. Ora la liberazione degli Atencos, grande vittoria di un
movimento popolare che si è rafforzato in questi quattro anni,
permette alla corte un certo recupero di credibilità dopo vari
scivoloni (come quando liberò, nell’agosto scorso, una ventina di
omicidi confessi della strage di Acteal).
Resta da vedere se lo
Stato assumerà le proprie responsabilità per i due giovani uccisi
dalla polizia nella sanguinaria incursione ad Atenco, se ci sarà una
riparazione del danno, se si farà giustizia per le donne violentate,
i torturati, gli imprigionati, i furti e i danni.
Se si
indennizzeranno i quattro anni che i dodici oggi liberati hanno
passato ingiustamente in prigione.
Mentre la popolarità del
governatore dello stato di Messico, Enrique Peña Nieto, che si
sentiva già in tasca la candidatura presidenziale, è in ribasso, si
festeggia nel movimento per la liberazione dei prigionieri di Atenco,
che ha raccolto un’enorme solidarietà, manifestazioni in più di
venti città in tutto il mondo e l’appoggio di undici premi Nobel
per la pace.

Un solo neo: non è ancora chiara la sorte di
América del Valle, la giovane e combattiva figlia di Ignacio, che ha
vissuto gli ultimi quattro anni in latitanza.
Una settimana fa,
América si è rifugiata nell’ambasciata del Venezuela a Città del
Messico chiedendo asilo politico. Si saprà nei prossimi giorni se la
richiesta, che era all’esame del governo venezuelano, non ha più
ragion d’essere.

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