4 luglio 2013 – Liberi 9 prigionieri della Sexta in Chiapas


Liberi 9 prigionieri della Sexta in Chiapas

 

 

Io voglio rompere la vita,

Come vorrei cambiarla,

Aiutami compagno,

Aiutami, non aspettare.

Che se una goccia è poca cosa

Con un’altra si fa un acquazzone

(Milonga de Andar Lejos, Daniel Viglietti)

Un’altra volta la pioggia dei primi giorni di luglio rompe le serrature. Come in quel mese del 2010 quando abbiamo potuto riabbracciare i nostri compagni di Atenco che ancora erano detenuti, sepolti con secoli di carcere dai burocrati di regime.

 

Questa pioggia sorella cade oggi sul Chiapas e, alimentando i fiori che crescono in basso e a sinistra, purifica la vita e cancella la sporca infamia dei 238 anni di carcere assegnati dal potere a nove dei prigionieri e delle prigioniere indigene aderenti a la Sexta.

 

Alcun@ sono uscit@, ma altri rimangono sequestrati, tra gli aderenti in Chiapas ci sono:

 

Alberto Patishtán Gómez, nel CERSS 5 di San Cristóbal, membro de la Voz del Amate.
Alejandro Díaz Santiz, nel CERSS 5 di San Cristóbal, de Los Solidarios de la Voz del Amate.
Antonio Estrada Estrada, nel CERSS 17 di Playas de Catazajá, di San Sebastián Bachajón.
Miguel Demeza Jiménez,  nel CERSS 14 di Cintalapa, di San Sebastián Bachajón.

 

Hanno recuperato la loro libertà:

 

Rosario Díaz Méndez, de la Voz del Amate.
Rosa López Díaz, de Los Solidarios de la Voz del Amate.
Pedro López Jiménez, de Los Solidarios de la Voz del Amate.
Alfredo López Jiménez, de Los Solidarios de la Voz del Amate.
Juan Collazo Jiménez, de Los Solidarios de la Voz del Amate.
Enrique Gómez Hernández, de Los Solidarios de la Voz del Amate.
Juan López Gonzalez, de Los Solidarios de la Voz del Amate.
Benjamin López Aguilar, de Los Solidarios de la Voz del Amate.
Juan Díaz López, de Los Solidarios de la Voz del Amate.

 

Una vittoria che frantuma le parole, riempiendoci di lacrime di gioia e indignazione.

 

Indignati/e perché i motivi legali con i quali sono stati liberati oggi i/le compagni/e –ritiro dell’accusa e sospensione della pena- sarebbero potuti essere applicati da tempo, evitando anni di carcere, tortura e la perpetuazione della principale ingiustizia di averli/e arrestati/e. Ci da rabbia anche il tiramolla di tre giorni per rendere esecutivo l’ordine di liberazione – tre giorni in più di inquietudine per i nostr@ compagn@- solo per dare tempo al governatore di montare il suo ridicolo teatrino da benefattore. Proviamo rabbia per quelli che restano, per gli anni e i sogni rubati. Per Natanael, il figlio di Rosa, assassinato dalle torture e dalla noncuranza dello Sato Messicano. Per le cicatrici, per il dolore, per le assenze, per il freddo in certe notti lunghe…

 

Però allo stesso modo festeggiamo la conferma di una certezza: solo la lotta organizzata e il rispetto delle diversità possono aprire le porte dell’inferno legale. Se la pioggia ha liberato nove compagni/e, come ricorda Daniel Viglietti, è perché ognuno, a modo suo, è stato una goccia combattente.

 

Grazie a tutti e tutte, compagni e compagne. La lotta continua, per abbattere i muri delle prigioni.

Gruppo di Lavoro “No Estamos Todxs”, 4 luglio 2013.


Liberati 9 indigeni.

5 luglio 2013 di Comitato Chiapas “Maribel” Bergamo

La Jornada – Venerdì 5 luglio 2013

Liberati nove indigeni in Chiapas; Patishtán resterà in prigione

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 4 luglio. È la terza volta che Alberto Patishtán Gómez vede uscire i suoi compagni di prigione, dopo una lunga e dolorosa lotta insieme per riacquistare non solo la libertà, ma la dignità rubata, gli anni persi senza motivo né colpa. È la terza volta che resta dentro.

Infine, questo pomeriggio sono stati liberati nove detenuti aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, dopo tre giorni in attesa che si realizzasse la decisione del governo statale. Erano da molti anni in lotta pacifica, uno sciopero della fame, numerose notti di solitudine e disperazione. Per la loro liberazione (o meglio una correzione del sistema di giustizia imperante in Chiapas, una chiamata dall’erta), hanno dovuto ancora aspettare. Da martedì avevano un piede nella staffa, ma niente. Fuori, sotto la pioggia o il sole, hanno aspettato per due giorni le loro madri, mogli, figli, con irrefrenabile incredulità.

Il governatore Manuel Velasco Coello è arrivato via terra da Tuxtla Gutiérrez, alle 18:15, fino al carcere di Los Llanos, nella zona rurale di San Cristóbal, per consegnare agli indigeni i verbali di scarcerazione, dopo essere entrato nella prigione ed aver parlato con ognuno di loro.

Poi, il professor Alberto Patishtán Gómez, che resterà in prigione insieme ad Alejandro Díaz Sántiz, ha varcato per qualche metro le porte della prigione per ”consegnare” ai loro familiari i compagni scarcerati: ”Vi consegno i compagni; io resto ancora qui, ma non bisogna perdere la speranza”, ha detto sorridente e fiducioso, prima di voltarsi e tornare in prigione, accompagnato dal governatore e da un nugolo di funzionari e guardaspalle.

Le persone che questo giovedì hanno lasciato la prigione statale numero cinque, sono: Rosario Díaz Méndez, Pedro López Jiménez, Juan Collazo Jiménez, Juan Díaz López, Rosa López Díaz, Alfredo López Jiménez, Juan López González y Benjamín López Díaz. Una volta fuori, Pedro López Jiménez ha dichiarato: “Questa è la vittoria di tutti, non solo nostra o vostra”‘, rivolgendosi alle famiglie indigene ed ai simpatizzanti solidali della società civile che liaspettavano. Alcuni di loro sono stati vicni per anni ai detenuti.

“Continueremo a lottare. Non ci fermeremo, né abbandoneremo il compagno Alberto che resta dentro”, ha aggiunto Pedro ai piedi di un masso dove striscioni e voci gridavano “libertà per i prigionieri politici”. Alcune decine di persone hanno abbracciato e salutato in lacrime gli otto uomini e Rosa, l’unica donna del gruppo scarcerato, che a causa delle torture subite durante il suo arresto nel 2007, ha perso un figlio, tra altre cose.

Rosario Díaz Méndez, della Voz del Amate, ha detto: “Continueremo a lottare fino ad ottenere la liberazione del compagno Alberto e di tutti i compagni in carcere”. Anche lui esce riconosciuto innocente. Otto anni dopo il “l’errore”‘ giudiziario che lo aveva condannato a 30 anni per due gravi delitti (mai commessi). Sua moglie non smetteva di abbracciarlo. Sono la coppia più grande, gli altri sono più giovani.

I nove hanno lasciato la prigione come risultato di uno sforzo collettivo di anni, in molti paesi, soprattutto di loro stessi dentro le prigioni, dove la Voz del Amate e Solidarios de la Voz de Amate sono diventati difensori dei diritti della popolazione carceraria. Nel caso di Los Llanos, con il loro pacifico coraggio civile hanno trasformato la vita dentro la prigione. Se mancherà loro qualcuno, saranno gli altri carcerati.

È stato un evento politico. Una vittoria degli indigeni che, la maggioranza alla mercé degli avvocati d’ufficio, hanno dimostrato di avere ragione (lo conferma la loro liberazione) sui poliziotti che li hanno arrestati ed anche torturati, sugli agenti del Pubblico Ministero che li hanno consegnati pur sapendoli innocenti, sui giudici che li hanno condannati, sui politici che hanno cavalcato la protesta di questi tzotzil e tzeltal di diverse provenienze.

A sera, gli indigeni liberati si sono recati nella cattedrale di San Cristóbal, come avevano promesso, per visitare la tomba del vescovo Samuel Ruiz García, il loro Tatic.http://www.jornada.unam.mx/2013/07/05/politica/009n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

 

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