Gloria Muñoz Ramírez: Patishtán, causa mondiale


Los de Abajo

Patishtán, causa mondiale

Gloria Muñoz Ramírez

Oggi nessuno può negare la sua innocenza. Sono state presentate tutte le prove che avallano la sua estraneità all’imboscata in cui morirono sette poliziotti e due risultarono feriti; è stato dimostrato il cumulo di irregolarità nel suo processo. Il suo caso concentra la discriminazione, l’oltraggio e l’autoritarismo della giustizia in Messico, in particolare quando si tratta di indigeni.

Si dice che il professore tzotzil Alberto Patishtán, detenuto da 13 anni a scontare una condanna a 60 anni, in queste settimane sia di fronte all’ultima opportunità di uscire libero. Ma l’ultima opportunità non è per il difensore dei diritti indigeni in Chiapas, ma per il sistema di giustizia messicano, in concreto, del tribunale di Tuxtla Gutiérrez, Chiapas, istanza che ha accolto il caso dopo il rifiuto della Suprema Corte di Giustizia della Nazione (SCJN).

Originario della comunità di El Bosque, municipio di Simojovel, negli Altos del Chiapas, il professore è stato condannato per i reati di criminalità organizzata, omicidio aggravato, porto d’armi di uso esclusivo dell’Esercito e lesioni aggravate. La mancanza di traduttori durante il processo, le bugie dimostrate dei testimone, l’assenza di prove ed un’infinità di irregolarità giuridiche, hanno provocato l’indignazione internazionale. Oramai il suo caso non appartiene più al Messico, ma è una causa mondiale.

E proprio per la sua internazionalizzazione, la Confederazione Generale del Lavoro (CGT), dello Stato spagnolo, ha presentato un amicus curiae alle istanze messicane, nel quale concludono che il professor Patishtán è stato condannato ingiustamente, senza salvaguardia delle minime garanzie e diritti secondo la legislazione internazionale e nazionale, concludendo che in presenza di tutti gli elementi concomitanti non resta che stabilire che Alberto Patishtán è stato condannato senza il dovuto rispetto delle norme di applicazione per il suo caso, in violazione dei suoi diritti umani, e secondo diritto non resta che la revoca della sua condanna e la sua conseguente messa in libertà.

Il riconoscimento di innocenza è il giusto procedimento nel caso Patishtán, e di conseguenza la sua immediata liberazione. Il tribunale collegiale, senza dubbio, ha l’ultima opportunità di dimostrare che i processi servono a qualcosa in questo paese. Alberto Patishtán è innocente ed il suo caso non si vede perché dovrebbe avere una soluzione politica, cioè, l’indulto presidenziale, perché? Di che cosa lo perdonano? Non è, dunque, compito del Potere Esecutivo, bensì del Potere Giudiziale, metterlo in libertà.

http://desinformemonos.org

losylasdeabajo@yahoo.com.mx

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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