Patishtan, un simbolo della lotta per la libertà


ALBERTO PATISHTAN, UN SIMBOLO DELLA LOTTA, A FIANCO DELL’EZLN, PER LA LIBERTÁ E LA DIGNITÁ DEL POPOLO MESSICANO

Alberto Patishtan è oggi il prigioniero politico più famoso del Messico. Si trova in carcere dal 21 luglio del 2000 dove sta scontando una pena che gli permettererà di tornare in libertà solo nel 2060 quando avrà 89 anni.

E’ accusato dell’omicidio di 8 poliziotti avvenuto la mattina del 12 giugno del 2000 a Las Lagunas de Las Limas, municipio di Simojovel nello stato messicano del Chiapas.

Alberto è un simbolo. Lo è per la sua lotta instancabile per la libertà e la dignità, come per la sua forza incredibile nell’animare i compagni e compagne detenuti a ribellarsi all’abominio delle carceri e alle ingiustizie di Stato; ma Alberto è un simbolo anche perché rappresenta un esempio di come la guerra integrale di sfiancamento combattuta dallo Stato contro i popoli del Chiapas e del Messico in generale usi tattiche e strategie complesse per annichilire i movimenti sociali tutti, in primis ovviamente l’EZLN ma non solo e per imporre il suo nuovo ordine fatto di narcopotere e interessi milionari.

Ripercorriamo la storia che ha portato al suo arresto per chiarire meglio l’emblematicità di cui parliamo.

Al momento del suo arresto Patishtan era un dirigente politico, presidente dell’Organizzazione Tripla SSS di El Bosque.  L’organizzazione aveva come scopo la difesa dei diritti dei più deboli e sfruttati della regione, denunciava la corruzione dell’allora sindaco del Bosque Manuel Gómez Ruiz e stava mobilitando la grande maggioranza degli abitanti del municipio.

Allo stesso tempo era un maestro.  Aveva studiato nell’Università di Valle de Grijalba e poi era tornato nella sua comunità.  E’ stato direttore dell’“albergue escolar” di El Azufre nel municipio di Huiitipan, regione di Bochil.  Nel suo lavoro di educatore si è sempre impegnato affinché anche i bambini delle famiglie indigene più povere e lontane dalla scuola potessero frequentare e apprendessero nella loro lingua di origine, il tzotzil.

Nel giugno del 1998 l’Esercito interviene nella regione occupando le località di Unión Progreso, Chavajeval, Álvaro Obregón e lo stesso El Bosque dove l’EZLN aveva costituito un Municipio Autonomo.  Nell’intervento armato gli zapatisti si difendono ma muoiono 8 compagni base di appoggio.   Il Municipio Autonomo viene smantellato.

Esattamente due anni dopo, il 12 giugno del 2000 si svolge il massacro di cui viene accusato Alberto.   Dieci o quindici individui, con giubbotti antiproiettile e armi di grosso calibro, tende un’imboscata al pick up verde scuro su cui viaggiavano, provenienti da Simojovel, otto poliziotti e l’autista del municipio di El Bosque, minorenne e figlio del sindaco corrotto Manuel Gómez Ruiz. Il giovane Rosemberg Gómez Pérez, che guidava il veicolo con i due comandanti in cabina e l’agente di Pubblica Sicurezza Belisario Gómez Pérez nel rimorchio con i suoi commilitoni, gravemente feriti e creduti morti dagli aggressori, sopravvivono rimanendo gli unici testimoni oculari.

Subito dopo l’Esercito federale invia centinaia di effettivi, occupa il luogo dell’imboscata, la città, le strade e fa incursioni nelle comunità zapatiste. La prima ipotesi della Segreteria della Difesa Nazionale è quella che gli autori apparterrebbero a “una cellula dell’Esercito Popolare Rivoluzionario (EPR)” ma l’ipotesi appare subito fantasiosa.

Più credibile si presenta l’ipotesi, diffusa lo stesso giorno della Central Independiente de Obreros Agrícolas y Campesinos (CIOAC), storicamente presente nella regione: i responsabili dell’imboscata sarebbero “paramilitari” del Mira”.   Il gruppo Mira, temibile e feroce, operava a El Bosque ed era più conosciuto come Los Plátanos, dal nome della comunità in cui i paramilitari si riunivano con poliziotti judiciales e da dove erano partiti, il 10 giugno1998, per partecipare al massacro degli zapatisti a Unión Progreso.

Il giorno dopo l’imboscata, il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno, Comando Generale dell’EZLN emise un breve comunicato: “Secondo i dati raccolti, l’attacco è avvenuto con tattiche da narcotrafficanti, paramilitari o militari. L’uso del cosiddetto ‘colpo di grazia’ è ricorrente in questi gruppi armati. L’attacco è avvenuto in una zona affollata di truppe governative (esercito e polizia), dove è molto difficile che un gruppo armato possa muoversi senza essere scoperto e senza la complicità delle autorità. Il gruppo attaccante possedeva informazioni privilegiate sui movimenti e sul numero di persone imboscate. Una tale informazione può essere ottenuta solo da persone del governo o vicine ad esso”.

Il comando ribelle segnalava: “L’EZLN sta investigando per fare luce sull’identità e sui motivi del gruppo aggressore. Tutto indica che sarebbero del governo (o con il sostegno governativo) le persone che hanno compiuto l’aggressione, poiché in questo modo avrebbero il pretesto per aumentare la militarizzazione in Chiapas e per giustificare l’attacco contro comunità zapatiste o l’EZLN. È da notare che questo fatto rafforza il clima di instabilità che il candidato ufficiale minaccia se non vincerà”.

Nel frattempo il deputato Gilberto López y Rivas, della Cocopa, segnalò che quell’imboscata aveva tutto l’aspetto di “una provocazione dei paramilitari fomentata dal governo dello stato”.  Lo stesso giorno, Victor Manuel Pérez López, dirigente della CIOAC, rivelò che il governo del Chiapas, nel 1997 aveva armato e finanziato “dissidenti del Partito del Lavoro” per combattere il governo municipale di quel partito e la stessa  CIOAC. Una volta raggiunto l’obiettivo di restituire al PRI il comune, “questi si sarebbero dedicati al controllo delle coltivazioni di marijuana, agli assalti e al narcotraffico.  Il dirigente della CIOAC aggiungeva che i paramilitari operavano nella più completa impunità, in pieno giorno, anche se militari e poliziotti realizzavano pattugliamenti frequenti.

La responsabilità dei paramilitari usciva allo scoperto. Urgeva correre ai ripari. Quello stesso giorno a El Bosque, l’Esercito e la Polizia Federale Preventiva catturarono, senza mandato di cattura, il maestro Alberto Patishtán Gómez. Un gruppo di abitanti, membri del PRI, subito protestò e sollecitò l’intervento del Congresso statale, sostenendo che il prigioniero era innocente.

Quel 19 giugno, pronunciandosi rispetto alle imminenti elezioni del 3 luglio 2000, il subcomandante Marcos scrisse: “Nel frattempo qua stiamo tremando. E non perché ‘el croquetas‘ Albores abbia ingaggiato Alazraki per rifarsi l’immagine (probabilmente Albores cerca un posto per promuovere cibo per cani), né per i seicentomila dollari che gli verserà (soldi destinati originalmente a ‘risolvere le condizioni di povertà ed emarginazione degli indigeni chiapanechi’, Zedillo dixit). Neanche per i latrati del ‘cucciolo‘ Montoya Liévano (sempre più nervoso perché si sta scoprendo che sono stati i suoi ‘ragazzi ‘- cioè, i suoi paramilitari – i responsabili dell’attacco alla Pubblica Sicurezza a El Bosque, il 12 giugno scorso). No, stiamo tremando perché siamo zuppi di pioggia. E tra elicotteri e temporali, non si trova un buon riparo”.

Nel frattempo Alberto Patishtán Goméz sequestrato dalla polizia preventiva viene torturato e quindi traferito nel carcere di Cerro Hueco.

Mentre da El Bosque cresce il movimento per la sua liberazione,  Patishtan, nel carcere, organizza la lotta per una vera giustizia con altri detenuti e mentre i sostenitori della sua innocenza manifestavano davanti al palazzo del Governo statale a Tuxtla Gutierrez, Alberto, con altri detenuti si cuce le labbra con del filo in segno di protesta.

Nel carcere fonda una organizzazione politica rivoluzionaria, con il nome “Voz de la Dignidad Rebelde” dei priogionieri politici, che ha lo scopo di far crescere la coscienza politica dei detenuti e la loro lotta per una vera giustizia.

Intanto cambia il governatore e viene eletto Pablo Salazar.  Durante il suo governo, in seguito a un giudizio pilotato e senza tener in conto delle contraddizioni in cui si presentavano le supposte prove (l’unico testimonio a carico era  lo stesso figlio del sindaco corrotto), viene condannato a 60 anni di prigione.

Patishtan viene poi trasferito nel carcere del Amate vicino alla città di Cintalapa de Figueroa, Chiapas.  Nel nuovo carcere, il 5 gennaio del 2006, organizza uno sciopero della fame.    Durante la protesta, insieme ad altri prigionieri fonda l’organizzazione politica “La Voz del Amate”.  L’organizzazione aderisce subito all’appello del Delegato Zero e alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona.  Alla protesta si uniscono molti prigionieri basi di appoggio dell’EZLN, indigeni organizzati nel Pueblo Creyente e in altre organizzazioni politiche anticapitaliste.  Nella protesta si esige la liberazione di tutti i prigionieri politici e riceve l’appoggio della società civile fuori dal carcere. Il Delegado Zero, Subcomandante Insurgente Marcos dell’EZLN, che nel frattempo stava girando il Messico per organizzare l’Altra Campagna, si ferma davanti ai cancelli del carcere per esprimere la propria solidarietà alla lotta dei prigionieri.  In seguito alla protesta vengono liberati 135 prigionieri politici.   L’unico che non viene liberato è proprio Alberto Patishtan.

Nel mese di gennaio del 2010 Patishtan si trova nel carcere CERRS n° 5 nei pressi di San Cristobal.    Il  vescovo emerito di San Cristobal Samuel Ruiz si reca personalmente nel carcere per consegnargli il riconoscimento  JTatic Samuel JCanan Lum come apprezzamento del suo impegno per i diritti umani.

Il 29 settembre 2011 insieme ad altri detenuti organizzati nella Voz del Amate e i Solidali de La Voz del Amate, rinchiusi nelle carceri di San Cristobal, del Amate e di Motozintla organizza un nuovo sciopero della fame.   Come risposta le autorità trasferiscono Patishtan nel carcere dello stato di Sinaloa nell’estremo nord del Messico.   Viene rinchiuso nel carcere  di massima sicurezza di Guasave e sottoposto a isolamento e condizioni durissime.    In seguito ad altre proteste nazionali e internazionali e alle denunce dello stesso Patishtan la Corte di Giustizia dello stato del Chiapas riconosce l’illegittimità del trasferimento e quindi viene di nuovo trasferito nel carcere di San Cristobal.

Verso la fine del 2012 un gruppo di avvocati presenta all’Alta Corte di Giustizia, corrispondente alla nostra Corte di Cassazione, una istanza affinché la stessa prenda in esame il processo per verificare l’inconsistenza delle prove con cui Alberto Patishtan venne condannato.   La Corte respinge la richiesta dichiarando che il caso è di competenza della giustizia statale e lo rimanda al Tribunale chiapaneco di Tuxtla Gutierrez.

Attualmente il caso di Alberto Patishtan è in attesa che venga esaminato dagli organi giudiziari dello stato del Chiapas.

Il link per partecipare alla campagna per la liberazione del prigioniero politico Alberto Patishtan inviando petizioni alle autorità giudiziarie messicane è il seguente: http://chiapasbg.wordpress.com/2013/03/22/campagna-patishtan/

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