16 maggio – Gaza: prigionieri politici, donne e contadini in resistenza


Prigionieri politici: una ricorrente e triste realtà

Siamo entrati nella sede della Croce Rossa internazionale di Gaza city dove ci siamo trovati immersi in una folla di persone, le stesse che ogni settimana rinnovano il loro incontro per ricordare e chiedere la liberazione dei prigionieri politici palestinesi rinchiusi nelle carceri israeliane. La maggior parte donne riunite al centro della sala che a gran voce scandiscono cori di protesta e lotta a sostegno dei loro familiari. Ciascuna tiene stretta tra le mani una foto di un marito o di un figlio mostrandola con orgoglio.

Negli interventi il primo pensiero va a Vittorio, nel ribadirci tutta la loro sofferenza per la perdita di un fratello caro, sottolineando senza mezzi termini ogni distanza da chi l’ha ucciso.

“Non siamo terroristi, i nostri prigionieri sono reclusi per aver combattuto per la libertà e la dignità di tutte e tutti”. Sono le sentite parole di una donna il cui figlio è rinchiuso da 26 anni colpevole solo di aver partecipato ad una manifestazione contro gli insediamenti, e che non vede da 5: è la situazione che le accomuna tutte a causa delle restrizioni che Israele impone ai detenuti politici palestinesi.

Un’altra signora ci ha raccontato la storia del figlio arrestato e deportato nella prigione israeliana di Saba, da 10 anni non solo non hanno la possibilità di vedersi ma non possono nemmeno sentirsi o scriversi ne avere notizie l’uno dell’altro. Anche questa donna è stata in carcere per alcuni anni ed è perciò al corrente di quali siano le condizioni a cui sono costretti i prigionieri.

E ancora la storia di una donna arrestata con il proprio bambino mentre tentava di difendere la propria casa. Lei venne rilasciata poco dopo ma il bambino che nel frattempo è diventato ragazzo è ancora dentro.

Oltre ai terribili trattamenti che subiscono quotidianamente non esiste nessuna tutela sanitaria, le operazioni chirurgiche non vengono eseguite: ci raccontano la storia di un uomo che ancora attende un’operazione al cervello che continua a venirgli negata. Anche per questo le proteste sono all’ordine del giorno, scioperi della fame, scioperi della sete scandiscano la quotidiana routine carceraria. Oggi ad esempio alcuni detenuti sono entrati nel 7 giorno di sciopero della fame.

Contro ogni gabbia e ogni muro.
Libertà per tutti e tutte


Resistenza al femminile

“Sono arrivati gli abbiamo dato da bere e l’hanno rovesciato, ma li abbiamo perdonati. Sono arrivati, gli abbiamo dato da mangiare e l’hanno buttato, ma li abbiamo perdonati. Siamo andati a a cercare il cibo, siamo tornati e abbiamo trovato le strade sbarrate”.

Così Israele ha occupato la Palestina uccidendo e torturando madri, padri e figli, distruggendo le case, ostruendo le strade, rubando l’acqua.

Le donne palestinesi hanno resistito e continuano a resistere a tutto questo. Così racconta Mariam dell’Unione delle Donne Arabe, che dal 1982 rivendica sostiene e promuove l’emancipazione femminile in ogni ambito del quotidiano.

Le donne sono parte attiva nella rsistenza palestinese, nonostante  i molteplici tentativi da parte dell’occupazione sionista di zittire la voce femminile. Fin dall’inizio dell’occupazione la donna in Palestina, si è adoperata in molteplici ruoli che la situazione d’assedio imponeva.
Sono state madri, costruttrici di campi profughi, combattenti, infermiere. Fondamentali sono state soprattutto nel trasmettere il valore della resistenza ai propri figli e alle proprie figlie, insegnando loro il significato della rivoluzione, spiegando l’importanza della dfesa della terra palestinese e della lotta verso la libertà. Hanno cresciuto nel loro grembo la popolazione palestinese.

Negli anni hanno accresciuto ancora di più il valore della resistenza ereditando le armi della rivolta, con determinazione sono diventate ancora più protagoniste nel processo rivoluzionario cercando in esso anche il cambiamento sociale: sono scese nelle strade, hanno rivendicato i loro diritti, hanno lanciato pietre, hanno combattutto l’esercito israeliano, costruendo resistenza.

L’Unione delle Donne Arabe è attiva in diversi progetti che sostengono l’educazione e la cultura, ritenuti fondamentali per l’emancipazione femminile. Privilegiano qualsiasi attività che sappia accrescere la soggettività della donna a livello sociale, politico, economico, sanitario.

“Gli uomini ci impongono di metere il velo e gli rispondiamo che se vogliono se lo possono mettere loro!”. In questo modo viene sottolineata  la loro volontà ad autodeterminare le scelte sul proprio corpo. Il problema non è se indossare o meno l’hijab ma la strumentalizzazione maschile della religione a scopi che mirano al libero arbitrio di una donna. A tal proposito le donne dell’Unione si sono sempre battute affinchè in nessun contesto sociale fossero costrette ad indossare indumenti contro la loro volontà.

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