Messico – Dove vivono i nostri morti (la geografía secondo il vecchio Antonio)


Di calendari e geografie I

I calendari secondo Don Durito de La Lacandona

Per quell@ che stanno in alto, il calendario è fatto di passato. Per mantenerlo lì, il Potere lo riempie di statue, ricorrenze, musei, omaggi, sfilate. Tutto con l’obiettivo di esorcizzare quel passato, ovvero, di mantenerlo nello spazio di quello che fu e non sarà più.

Per quell@ che stanno in basso, il calendario è qualcosa a venire. Non è un mucchio di fogli sparsi dall’astio e la disperazione. È qualcosa per cui bisogna prepararsi.

Nel calendario dell’alto si celebra, in quello del basso si costruisce.

Nel calendario dell’alto si festeggia, in quello del basso si lotta.

Nel calendario dell’alto si manipola la storia, in quello del basso si fa.

Nel calendario dell’alto i premi comprano coscienze e parole, in quello del basso si tace.

Nel calendario dell’alto la grigia mediocrità è regina e signora, in quello del basso si dipingono tutti i colori.

Nel calendario dell’alto c’è solo disprezzo per quell@ in basso e credono di poterlo fare impunemente.

Nel calendario del basso c’è rabbia contro quell@ in alto.

Così sarà fino a che si scriverà un altro calendario come deve essere scritto, cioè, in basso.

Agosto 2010

Messico

http://revistarebeldia.org/revistas/numero73/05calendariosygeografiasI.pdf

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

 

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Dove vivono i nostri morti (La geografia secondo il Vecchio Antonio)

Settembre. Piove. Le strade principali ora sono improvvisati ruscelli. I rilievi una successione di pozzanghere precarie per milpe, girasoli ed alberi insolenti. Da lontano, si sente una voce:
Sono arrivato. Mi sistemo come posso accanto al fuoco. 

Anche se fradicio, sono riuscito a mettere in salvo il tabacco ed alcune foglie di mais. Sorseggio il caffè che mi passa Juanita con la sua mano piena di calendari passati e a venire. Con pazienza e impegno, come si deve, mi arrotolo una sigaretta e l’accendo con un tizzone.
Il mio nome è Antonio, ma credo che questo già lo sappiate. Il Sup mi chiama “il Vecchio Antonio”. Anche se sono ormai defunto, ogni tanto mi va di apparire per raccontare storie passate. Col Sup ci siamo conosciuti molte piogge fa e spesso viene a pormi domande alle quali rispondo con altre domande… o con delle storie.
Di solito, dopo essermi acceso la sigaretta, segue la parola. A volte il Sup tira fuori la sua pipa… ma non sempre… perché spesso il tabacco gli si bagna per il sudore… o per la pioggia… o per gli amori… o perché attraversando il guado del fiume la corrente lo travolge… e arriva alla capanna grondante d’acqua… e allora, come a me, la Juanita gli avvicina una panca vicino al fuoco e gli porge il caffè… Dunque, vi stavo dicendo che, dopo essermi acceso la sigaretta, dovrebbe seguire la parola. Non una parola dura come quelle che usate voi cittadini, ma semplice e umile… come siamo noi. Ma ora non segue la parola… sto solo a guardare come il serpente di fumo si attorciglia e si confonde col fumo del fuoco.
Così mi attardo, fumando e sorseggiando caffè. Ed è perché il fumo non porta una storia passata, ma una ancora da venire. E le storie a venire devono essere ben taciute prima di raccontarle. È così qua in basso. Invece lassù c’è molto chiasso… rumore… parole dure da capire… e vuoti.
Stavo dicendo che io sono morto. Sono morto nel ’94. Molti non si ricordano o fanno finta, ma quell’anno noi ci ribellammo contro i malgoverni. E continuo… continuiamo.
“Defunto” vuol dire morto. Benché qua i nostri morti vivano. Vivono, sì, ma non perché lo desideriamo, e lo desideriamo… non perché conserviamo la loro memoria, come sì facciamo. Vivono perché ci hanno lasciato un debito, una pendenza, un qualcosa che dobbiamo fare.
Per questo ogni tanto bisogna andare dove vivono i nostri morti per rispettare l’impegno di saldare quel debito. Ed è solo lì dove si conoscono il luogo e l’ora, il quando e il dove, o, come dite voi cittadini, il calendario e la geografia.
Non è nelle date né nei luoghi dell’alto.

È qui in basso che sta la nostra geografia.

È dove vivono i nostri morti.

 Antonio, il Vecchio Antonio.

Settembre 2010

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