La breccia chiapaneca


La Jornada – Lunedì 19 aprile 2010

Carlos Fazio

 Nel contesto della strategia di occupazione a spettro totale
(full spectrum) che stanno portando avanti gli Stati Uniti in
Messico, per le sue caratteristiche particolari il Chiapas occupa un
posto centrale nella mappa del Pentagono. La geografia chiapaneca fa
parte della "breccia" (the gap) nella quale si trovano le
zone di pericolo sulle quali il protagonista egemone del sistema
capitalista mondiale deve avere una politica aggressiva di
prevenzione, di dissuasione, controllo ed imposizione di norme di
funzionamento affini agli interessi corporativi con casa madre nella
nazione imperiale, ma anche di persecuzione, disarticolazione ed
eliminazione di dissidenti o ribelli, considerati nemici.More...
Bisogna ribadire che non si può comprendere e spiegare il sistema
capitalista senza il concetto di guerra. La guerra è la forma
essenziale di riproduzione dell’attuale sistema di dominazione; la
guerra è connaturata all’attuale fase di conquista e riconquista
neocoloniale di territori e spazi sociali. Ma è anche un affare, un
modo di imporre la produzione di nuove merci e aprire mercati allo
scopo di ottenere profitti. In questo contesto la breccia chiapaneca
si colloca in un’area a intensa in biodiversità, dove esistono
grandi risorse acquifere, petrolio e minerali di uso strategico,
tutto quello che dà senso pratico redditizio alla sua appropriazione
territoriale e dello spazio.

Con un’aggiunta: lontano dal
chiasso mediatico del momento, il Chiapas, ed in particolare l’area
sotto il controllo delle autonomie zapatiste, è una zona creativa e
di resistenza civile pacifica al progetto neoliberale. Un’area dove
si sperimentano nuove forme di emancipazione, di costruzione della
libertà nel collettivo da parte di diversi soggetti sociali e
movimenti antisistemici che manifestano un pensiero critico, etico,
anticapitalista, controegemonico. Forze che operano al margine delle
regole del gioco e degli usi e costumi del sistema e gli danno
battaglia sul campo culturale, dove sono radicate la memoria storica,
le cosmovisioni e le utopie. Si tratta di un nuovo soggetto storico
che non crede più alle toppe né alle riforme all’interno del
sistema e, alieno alle vecchie e nuove forme di assimilazione e
cooptazione, sperimenta un’altro modo di "fare politica" e
di costruire un potere alternativo dal basso. Un vero potere
popolare, autogestito, plurale, di autentica democrazia partecipativa
con le sue giunte di buon governo, i suoi municipi autonomi e le sue
autorità comunitarie.

Per tutto questo, l’EZLN, le sue basi
di appoggio e gli alleati sono un pericolo reale, una sfida
strategica per Washington e le grandi corporazioni dei settori
militare, petrolifero, minerario, biotecnologico, agroalimentare,
farmaceutico, alberghiero, dell’imbottigliamento e del falso
ecoturismo che oggi scatenano una sordida guerra per la terra ed il
territorio chiapaneco. Chi si trova negli spazi e nei territori dove
esistono acqua, boschi, conoscenze ancestrali, codici genetici ed
altre "merci" sono, lo si volia o no, nemici del capitale.
Per questo assistiamo ad un’offensiva conservatrice che, nella forma
di una guerra integrale occultata, asimmetrica, irregolare,
prolungata e di logoramento, vuole disciplinare, piegare e/o
eliminare la resistenza dei contadini indigeni ribelli per realizzare
la ristrutturazione del territorio secondo gli interessi e le
ingiunzioni monopoliste classiste. Si tratta di una guerra di
privatizzazione, di svuotamento territoriale e predazione sociale che
si serve della militarizzazione e paramilitarizzazione del conflitto,
della repressione dei movimenti sociali e della criminalizzazione
della protesta per facilitare la libera accumulazione capitalista
delle multinazionali e dei loro alleati vernacolari, mediante un
aggressivo modello dominante di agricoltura e dello spazio rurale; un
modello di morte a beneficio del grande capitale.

In quella
che forse è stata la sua ultima apparizione pubblica, nel dicembre
del 2007, il subcomandante Marcos avvertì sulla ripresa delle
aggressioni militari, poliziesche e paramilitari nella zona di
influenza zapatista. Disse: "Chi ha fatto la guerra sa
riconoscere i modi in cui si prepara ed avvicina. I segnali di guerra
all’orizzonte sono chiari. La guerra, come la paura, ha odore. Ed ora
si comincia già a sentire il suo fetido odore nelle nostre terre".
Annunciò allora che l’EZLN entrava in una nuova fase di silenzio e
che si preparava a resistere da solo – abbandonato
dall’intellighenzia progressista e di sinistra davanti all’ipotesi di
"basso rating mediatico e teorico" dello zapatismo – alla
difesa della terra e del territorio recuperato dal 1994 e sotto il
controllo delle autonomie, davanti alla nuova offensiva che stava
preparando l’emulo di Victoriano Huerta, Felipe Calderón, col suo
capitalismo da caserma.

Da allora, come parte della stessa
strategia di occupazione a spettro totale studiata dal Pentagono, la
geografia chiapaneca si è riempita di posti di blocco e veicoli
militari blindati; sono ricomparsi gli operativi di dissuasione e
intelligenza, i pattugliamenti ed i sorvoli in zone considerate
focolai pericolosi, e l’Esercito è stato riposizionato in comunità
con precedenti di resistenza civile, mentre le autorità locali e
federali realizzavano sgomberi violenti e ricollocamenti forzati di
comunità indigene nella Riserva della Biosfera dei Montes Azules e
di altre aree, come parte di una strategia di svuotamento e controllo
territoriale che, mascherata da "spirito conservazionista"
vuole spostare la popolazione per facilitare l’appropriazione e la
mercificazione della terra e delle risorse naturali da parte del
grande capitale. Questo spiega anche perché, articolati dalla sede
della 31a Zona Militare di Rancho Nuevo, gruppi paramilitari come la
OPDDIC (Organizzazione per la Difesa dei Diritti Indigeni e
Contadini) ed il cosiddetto Ejército de Dios (sotto travestimento
evangelico) stiano perseguitando e distruggendo le comunità
zapatiste.
 http://www.jornada.unam.mx/2010/04/19/index.php?section=opinion&article=025a2pol

(Traduzione "Maribel" – Bergamo)

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