Dal quotidiano Il FATTO
3 febbraio
2010
Faide e vendette:
migliaia di vittime e lo Stato è scomparso
di Federico
Mastrogiovanni, Città del Messico
Il mese di gennaio si è
chiuso in Messico con il più alto numero di omicidi legati alla
criminalità e al narcotraffico nell’ultimo mandato del presidente
della Repubblica. La cifra è spaventosa: 908 morti in un mese, una
media di trenta omicidi al giorno, in un paese che sotto il governo
di Felipe Calderón, instauratosi nel 2006, ha raggiunto la cifra di
17.793 omicidi. Gli ultimi due massacri sono avvenuti quasi
contemporaneamente in due città del nord, non lontano dal confine
americano, la notte tra sabato e domenica scorsi. A Torreon, nello
Stato di Coahuila, intorno alla mezzanotte, un commando di almeno
dieci persone a bordo di Hummer e suv ha fatto irruzione nel bar El
Ferrie di Torreon, sparando su un gruppo di giovani. Il bilancio è
di 10 morti e almeno 15 feriti, quasi tutti sotto i 25 anni.
Contemporaneamente a Ciudad Juárez, nello Stato di Chihuahua, che da
25 mesi consecutivi è lo Stato messicano con il più alto numero di
esecuzioni, e che in gennaio ha registrato 331 omicidi, un altro
commando di 15 pistoleros, si è presentato a una festa privata e ha
fatto fuoco sugli invitati. I morti sono 18, quasi tutti adolescenti,
tra i 15 e i 17 anni. In questo caso una delle vittime era stato
testimone, pochi giorni prima, di un’altra esecuzione. Queste cifre
testimoniano un clima di violenza che sembra in continuo aumento. Ma
soprattutto mostrano la debolezza di uno Stato di fronte all’impunità
di organizzazioni criminali che controllano molta parte del
territorio messicano, soprattutto al nord. Ma il livello di
attenzione comincia a salire anche nel Distrito Federal, dove
tradizionalmente per un tacito accordo tra cartelli del narco e
istituzioni, non si verificavano casi di esecuzioni. Alle 5 di
mattina del 25 gennaio, nel bagno del Bar Bar, sulla trafficatissima
e centrale Avenida Insurgentes, l’attaccante della Nazionale di
calcio del Paraguay, Salvador Cabañas, che milita in una delle
squadre di Città del Messico, è stato aggredito da un uomo che gli
ha sparato un colpo di pistola in testa. Cabañas si sta riprendendo
dalla ferita anche se è in condizioni critiche. Il controllo del
territorio e l’impotenza delle istituzioni, negli Stati dove le
famiglie del narco sono più radicate e potenti, si misura in molti
modi. Uno di questi è l’impossibilità di delinquere al di fuori
delle famiglie. Si tratta di veri e propri poteri paralleli, armati
meglio dell’esercito, con più denaro e più uomini delle forze di
polizia. Nel municipio di Zamora, Stato di Michoacan, negli ultimi
tempi sono sempre più i casi di rateros (ladri) e violentatori,
fustigati, torturati e obbligati dai membri della Familia , il
potente cártel di Michoacán, a camminare per le strade principali
della città, nudi in pieno giorno, mostrando i segni delle torture,
e portando appesi al collo cartelli che recitano “sono un ladro e
un violentatore, questo è quello che mi merito”. La legge in
queste zone la fanno i cartelli del narco, nonostante la massiccia
presenza di esercito e forze di polizia, dispiegate dal governo di
Felipe Calderón. Ciò che contraddistingue le violenze degli ultimi
anni, oltre al numero delle vittime, è l’efferatezza dei crimini,
in un contesto in cui le istituzioni risultano impotenti e incapaci
di proteggere la popolazione, che a sua volta vive in un continuo
stato di agitazione e paura. Quando per le strade di una piccola
comunità come quella di Apatzingán, un municipio di 90mila abitanti
nello Stato di Guerrero, compaiono sei cadaveri decapitati, e vengono
ritrovate le teste a centinaia di metri di distanza dai corpi,
segnate con una zeta incisa sulla fronte, che non è la firma di
Zorro, ma degli Zetas, uno dei cartelli più sanguinari e potenti del
paese, e se questo succede quasi tutti i giorni in tutto il Messico,
è evidente che la situazione sia disperata e le politiche adottate
non sono adeguate al problema. Ormai in città come Culiacán,
capitale dello Stato di Sinaloa, molti cittadini hanno tolto il
clacson dalle loro automobili per non correre il rischio di
imbattersi in qualche appartenente al cártel di Sinaloa e suonargli
per sbaglio. La conseguenza potrebbe essere quella di venire
assaltati a colpi di pistola in pieno giorno. Il 2010 in Messico è
un anno importante, poiché ricorrono i 200 anni dell’Indipendenza
e i 100 della Rivoluzione. È un anno di aspettative e
festeggiamenti. E in molti cominciano a credere che grazie alla
narcotizzante passione per il calcio, con l’attenzione sviata dalla
nazionale impegnata in Sudafrica, mentre tutti sono distratti
dall’euforia le famiglie del narco sferreranno l’attacco
definitivo alle istituzioni e prenderanno il potere. Quello che
sembra inverosimile di questa teoria del complotto è proprio l’idea
di “prendere le istituzioni”, da parte delle organizzazioni
criminali che di fatto il controllo del paese lo hanno già.
Probabilmente non ci sarà bisogno di gesti eclatanti. Se la risposta
della politica rimarrà la stessa, i record negativi del Messico
continueranno ad essere superati da altri ancor più spaventosi.