Articolo
di Raul Zibechi sui nuovi governi di sinistra latinoamericani e il loro
rapporto coi movimenti apparso sul quotidiano messicano "la jornada" il
13 febbraio 2009
Versione originale
http://www.visionesalternativas.com/index.php?option=com_deeppockets&tas…
(traduzione afroditea)
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L’arrivo di Barack Obama alla Casa Bianca, la profonda crisi
economica mondiale e la deriva statunitense, l’esistenza d’otto governi
progressisti e di sinistra in America del Sud sono fatti talmente
importanti che stanno generando grande confidenza in ampi settori,
rispetto alla possibilitá d’incontrare nuove vie per le nostre società
colpite da due decade di neoliberismo. Si tratta di una congiuntura
speciale e inedita chiamata a convertirsi in uno spartiacque su scala
planetaria.
Piú volte abbiamo menzionato che la decadenza degli Stati Uniti come
unica superpotenza sta permettendo la nascita di nuove relazioni di
forza nella regione sudamericana, nella quale si definisce con un
profilo nitido la forza decisiva del Brasile. Allo stesso modo
s’intravede la possibilitá di costruire un’integrazione regionale che
non solo marchi una distanza con l’impero ma anche con il libero
commercio.
Per definizione una congiuntura si risolve in un lasso di tempo
relativamente breve. In questo caso la si puó pensare, prendendola alla
larga, in una decada, che è il tempo che dispongono le forze del cambio
per imporre per lo meno una parte dei loro obiettivi. Questo prima che
altre forze con interessi diversi trovino le condizione per imporre i
loro. Come si vede nelle dichiarazioni e nei documenti del recente
Forum Sociale Mondiale celebrato a Belem, nei discorsi di buona parte
delle dirigenze politiche e sociali si è giustamente installata l’idea
che “il momento opportuno è questo”.
Allo stesso modo esiste la convinzione che se non si trovano delle
uscite all’attuale modello d’accumulo, ossia, il capitalismo, la crisi
potrá risolversi attraverso il disegno di un mondo addirittura peggiore
dell’attuale.
Gaza, Irak, Haiti, Colombia sono vari esempi di quello che potrá capitare.
Buona parte degli obiettivi approvati nella Carta dei movimenti sociali
e nella Dichiarazione dell’assemblea dei movimenti, mostrano con
chiarezza quale potrá essere la direzione per un cambiamento.
Denunciano l’ideologia dello “sviluppo” e del “progresso”, cosí come
l’imperialismo e il capitalismo nella sua guerra di conquista per
appropriarsi dei beni comuni dell’umanitá. Danno peró poca importanza
alle critiche delle nuove forme che il modello neoliberista acquisisce,
in particolare ai “grandi gruppi economici locali – che trovano la loro
espressione nelle cosídette multilatine – associate a buona parte dei
governi della regione. Come ad esempio il megaprogetto IIRSA
(Integrazione dell’Infrastruttura Regionale Sudamericana), capeggiato
dalla borghesia brasiliana che, dietro lo sviluppo d’interconnessioni
nell’infrastruttura, nasconde l’appropriazione transnazionale dei beni
naturali.
Di fatto i movimenti sudamericani presentano la fattura ai “loro”
governi prendendo di mira i principali progetti economici come quelli
destinati a promuovere “lo sviluppo” della regione come l’attivitá
mineraria a cielo aperto, l’agrocommercio e i combustibili bio tra gli
altri. Mettono il dito dove fa piú male criticando, assieme al Plan
Colombia e alle basi militari straniere, “l’occupazione di Haiti da
parte di truppe di paesi latinoamericani”.
E questo non è solamente un esercizio d’autonomia politica, ma un
marcare le urgenze del momento, l’idea che è necessario “avanzare
adesso” e non delegare ai governi. La volontá di creare le condizioni
“per costruire una nuova offensiva dei popoli” che modifichi
radicalmente le relazioni di forza nella regione.
Una decada di governi del nuovo corso sta cominciando a evidenziare
cosa si ha raggiunto e i conseguenti limiti di un cambio promosso
dall’alto, mostrando chi è veramente interessato a cambiare il mondo.
Una parte significativa di questi governi è piú impegnata a
consolidarsi che a implementare nuove direzioni. L’unico paese capace
di spingere tutta la regione, il Brasile, è piú impegnato a erigersi
come potenza globale che ad abbandonare il modello. Lula sembra piú
occupato a catapultare la sua probabile successora, la ministra Dilma
Rousseff, che a combattere il tremendo potere del capitale finanziario
nel suo paese. Non è sufficiente promuovere un mondo e una regione
multilaterale se allo stesso tempo non si erode il neoliberismo.
Dall’altra parte uscire da tale modello è piú complesso di quello che
si possa supporre. Dopo 10 anni di Hugo Chavez al governo, il Venezuela
continua a essere un paese con enormi difficoltà per uscire dalla
dipendenza del petrolio. Si tratta di processi molto lenti per il fatto
che si cerca di creare condizioni non solo politiche ma pure sociali e
culturali. Cuba necessitó quasi mezzo secolo per uscire dalla
monoproduzione di canna da zucchero. A queste difficoltà bisogna
aggiungere opzioni che rafforzano il modello, come la scommessa di
Rafael Correa riguardante l’attivitá mineraria transnazionale che,
altro non puó far che aumentare la dipendenza dell’Ecuador, come è giá
successo nell’ultimo mezzo secolo con il petrolio.
Non è questo il cammino per costruire il “socialismo del XXI secolo” e
ancora meno si puó prendere questa direzione contro i principali
movimenti sociali. Il duro confronto in corso tra il governo di Correa
e il movimento indigena, che ha provocato decine di feriti e di
prigionieri durante lo sciopero del 20 di gennaio contro la legge
mineraria, impone di guardare piú in lá della congiuntura attuale.
I governi progressisti della regione possono essere degli alleati per
il cambio, ma i costruttori del mondo nuovo sono i popoli organizzati
in movimento.
Il caso della Bolivia, dove il governo di Evo si dimostra in sintonia con i movimenti, è per il momento l’unica eccezione.
Nonostante alcuni analisti e politici difendano la centralitá dei
governi di fronte a un supposto ripiego dei movimenti, altro non si puó
fare che ricordare che l’attuale congiuntura è stata creata grazie alla
resistenza dal basso che ha delegittimato il modello.
Se questi governi non prenderanno una direzione chiara, nel futuro, saranno banco dell’inevitabile offensiva dei movimenti.