La Jornada – Venerdì 28 maggio 2010
Elio Henríquez. San Cristóbal de Las Casas, Chis., 27 maggio.
Il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas (CDHFBC)
afferma che “è documentato e provato” che in Chiapas, 16 anni dopo la
sollevazione zapatista, continua ad essere applicata la strategia contrainsurgente.
“Si utilizzano ampiamente risorse politiche, sociali, giudiziarie,
psicologiche e mediatiche per giustificare il suo operato e la sua
implementazione”, denuncia nella sua relazione annuale l’organizzazione
fondata e presieduta dal vescovo emerito di San Cristóbal, Samuel Ruiz
García.
Sostiene che in Chiapas la Iniciativa Mérida ha contribuito ad acuite il conflitto armato non risolto e sebbene la “strategia contrainsurgente
derivata dal ‘piano’ sia tramata dalle cupole della Segreteria della
Difesa Nazionale, in coordinamento col Centro di Investigazione e
Sicurezza Nazionale, in questo ultimo periodo si è consolidata come
politica di Stato”.
Questa strategia, continua, si è focalizzata “nell’indebolimento
delle basi sociali sulle quali si sostiene l’insurrezione armata, oltre
che legittimare gli atti arbitrari dei governi federale e statale di
fronte alla sfiducia generale della popolazione”.
Le facce della contrainsurgencia, sostiene, sono
configurate da una gamma di attori il cui intervento sullo scenario di
guerra ha svelato il loro vero ruolo, come istituzioni governative di
intelligenza civile e miliare, forze armate e di polizie miste, gruppi
paramilitari, operatori politici di governo, enti ufficiali e mezzi di
comunicazione di massa.
Il rapporto presentato da Ruiz García, Diego Cadenas, direttore
dell’organismo, e da Agnieszka Raczynska, segretaria esecutiva della
Rete Messicana Tutti i Diritti per Tutti, afferma che l’incremento
della repressione e criminalizzazione evidenzia l’incapacità delle
autorità di rispondere alle espressioni di dissenso della società
civile.
“Il governo sostituisce il dialogo e l’accordo per azioni di
persecuzione, minacce, tortura e privazione illegale della libertà
contro i difensori di diritti umani, comunità e popoli”, afferma.
Il CDHFBC dichiara inoltre che l’intrusione del governo messicano
negli spazi sociali per esercitarne il controllo ed il suo interesse
nell’appropriazione del territorio dei popoli, si devono ad interessi
concreti volti a creare benefici alle alte sfere del potere politico ed
economico. “Per questo il governo implementa una politica che ha
sviluppato attraverso la strategia contrainsurgente e le azioni repressive sui versanti politici, culturali, sociali, giudiziari e psicologici”.
La logica del governo, segnala, consiste nel criminalizzare le
persone, i movimenti sociali o le comunità che si organizzazione e si
oppongono al sistema economico.
Inoltre: “In Chiapas l’imposizione di questo sistema di esclusione
si è tradotto in morti violente, sgomberi forzati, perquisizioni
illegali ed incursioni militari e di polizia in comunità, tentativi di
vincolare attivisti e leader sociali a presunte organizzazioni
criminali”.
Secondo il Centro de las Casas, difendendo la propria autonomia,
territorio e risorse naturali, le comunità e le organizzazioni
rappresentano un ostacolo agli interessi del governo messicano che
vuole implementare progetti che considera di “grande respiro”, come il progetto México 2030 che contempla la privatizzazione dell’energia, dell’acqua, dei minerali e perfino delle zone riserva della biosfera.
Ruiz García ha detto che “bisogna accompagnare coloro che subiscono
violazioni delle loro garanzie affinché ci sia non solo il
riconoscimento di quei diritti, ma il cambiamento delle situazioni
all’interno delle quali questi sono violati”.
Ed ha aggiunto: “non è solo la constatazione di cose che sono
accadute e si sono subite, bensì l’aspettativa del cambiamento nel
denunciare queste violazioni. Speriamo in questo modo di continuare a
contribuire poco a poco alla costruzione di una nuova società dove ci
siano giustizia, verità e fraternità”.