POPOCATÉPETL – La lava del Messico


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a cura di Gianni
Proiettis

Ve lo do io Marcos          

Più che una bomba mediatica, la fotografia del finto subcomandante
Marcos e i “segreti” divulgati da un ex-guerrigliero zapatista,
si sono rivelate una bombetta puzzolente della destra fognaria
messicana.

Peccato che ci siano degli informatori così fessi
da ripubblicarla.

Il quotidiano Reforma di sabato 27 marzo si
decide per lo scoop a tutti i costi: un sedicente disertore
dell’Ejercito Zapatista de Liberación Nacional avrebbe consegnato
alla redazione del giornale alcune foto con il “vero volto” del
leggendario subcomandante insieme a un memoriale di 83 pagine con i
dati di una presunta “struttura segreta” dell’Ezln, altre foto
di altri capi zapatisti a viso scoperto con tanto di numeri di
cellulari e, dulcis in fundo, le “prove”, queste ultime solo
verbali, di finanziamenti occulti dell’Eta basca – e di alcuni
compagnucci italiani – agli zapatisti per l’acquisto di armi.
Bum! La notizia-Frankenstein era talmente scucita che non ha
tardato a cascare a pezzi, a partire dalla testa: è dal 9 febbraio
del 1995 che l’identità – e la faccia – del subcomandante
Marcos sono note.

Fu lo stesso governo di Ernesto Zedillo,
entrato da poco in funzione, a renderle pubbliche, sbattendo il
mostro in prima serata televisiva.

Un portavoce della procura
smaschera in diretta – c’era anche il rullo di tamburi? – una
fotografia del sub Marcos, rimuovendo un lucido con il passamontagna.
La faccia che appare è quella di un pallido e barbuto professore di
filosofia. Il capo dei ribelli senza volto, un esercito di
lillipuziani coperti da passamontagna e paliacates, che sembrano
partoriti direttamente dalla Madre Terra, si chiama Rafael Sebastián
Guillén Vicente, è nato a Tampico, nello stato del Tamaulipas, il
19 giugno del 1957.

Nella tradizione della lucha libre, un
lottatore è smascherato dopo la sconfitta, come ultima umiliazione.
Ma nel caso di Rafael Guillén, il tiro gli uscì dalla culatta agli
strateghi del governo. Studente modello fin dai tempi delle medie,
sempre con un libro sotto il braccio, già da ragazzo paladino
donchisciottesco dei deboli e gli oppressi, il futuro subcomandante,
secondo la biografia ufficiale, si trasforma in brillante laureato
della facoltà di lettere e filosofia della Unam, la prestigiosa
università di Città del Messico, poi in professore di comunicazione
grafica nella Uam-Xochimilco, un’altra università pubblica della
capitale.

Nei primi anni ’80, Rafael molla tutto e va in
Chiapas. Né la famiglia a Tampico, né i suoi amici di Città del
Messico ne sanno più niente.

Il 17 novembre 1983 è tra i
fondatori dell’esercito zapatista nella selva lacandona. Sta
imparando tzeltal e tojolabal. Crede ancora che saranno lui e i suoi
compagni a indottrinare gli indigeni. Non sospetta affatto che
succederà il contrario.

Ma scusate. Mi stavo perdendo in una
biografia interessante ma che non viene al caso, almeno ora. Dal
1983, mandiamo la macchina del tempo avanti tutta e torniamo al 9
febbraio 1995, il giorno in cui il governo di Ernesto Zedillo giocò
la carta del tradimento, come aveva fatto il generale Guajardo con
Emiliano Zapata nel 1919.

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