Per la libertà di Rosa Lopez, prigioniera politica in Chiapas (Messico)
Rosa López Díaz è una donna indigena (tzotzil) nata il 2 dicembre 1978, prigioniera in Chiapas, Messico, dal 10 maggio 2007 per un crimine di sequestro che non ha mai commesso. E’ detenuta insieme al suo compagno Alfredo López, e durante le prime ore della detenzione subisce tortura sessuale e di altro tipo, al fine di strapparle una confessione di colpevolezza. Rosa si trova a scontare una sentenza di 27 anni e 6 mesi nel carcere n. 5 di San Cristóbal de Las Casas.
PRETENDI DAL GOVERNO DI JUAN SABINES GUERRERO LA LIBERTA’ IMMEDIATA DI ROSA LOPEZ DIAZ E DEI SUOI COMPAGNI DI LOTTA!!
Ascolta l’audio (in spagnolo) dell’esposizione del suo caso davanti al Tribunale Permanente dei Popoli (TPP). Chiapas, 7 marzo 2012.
La storia della sua detenzione fa venire i brividi. Poiché al momento dell’arresto era incinta il figlio che ha partorito 5 mesi dopo, Natanael, è nato con paralisi cerebrale a causa delle torture. Così lo racconta Rosa:
“E’ stata la cosa più triste della mia vita di donna, non potrò mai dimenticare i volti di quelle persone che mi colpirono ingiustamente. La cosa più dolorosa è che al momento di questa tortura io ero incinta di 4 mesi. Ad un certo punto ho sentito qualcuno che mi veniva sopra, cercando di stuprarmi. Non ce l’ho più fatta e ho detto “Non stupratemi, sono incinta”, allora uno degli aggressori mi dice “Se confessi che l’hai fatto non ti faremo nulla”. In quel momento dissi di sì, che io avevo sequestrato la ragazza, anche se è totalmente falso”.
“Poi ho dato alla luce un bambino che si chiama Natanael López López, che è nato malato con paralisi cerebrale, oltre che deforme in viso e immobile in tutto il corpo. I dottori dissero a mia madre che il bambino è nato malato per le torture che ho ricevuto quando mi arrestarono”.
Se questo non bastasse, giusto 4 anni dopo la nascita di Natanael – nell’ottobre del 2011, in pieno sciopero della fame portato avanti insieme ai compagni di lotta in carcere – Natanael muore per negligenza medica negli ospedali del Chiapas. Un fatto del genere non si può sopportare.
Ora Rosa vive con l’altro suo figlio, il piccolo Leonardo, di tre anni. Con il passare del tempo, e principalmente per il contatto che stabilì in carcere con il professore indigeno Alberto Patishtán Gómez, ha acquisito coscienza politica sulla sua situazione e sulla lotta per i diritti umani di tutti i prigionieri politici ingiustamente detenuti, che in un paese come il Messico sono la stragrande maggioranza.
Rosa sta resistendo, nonostante il suo stato di salute debilitato – come molti suoi compagni – mantenendosi attiva e organizzata insieme ai compagni di lotta aderenti alla campagna delEZLN nelle organizzazioni di La Voz del Amate, Solidarios de La Voz del Amate e Voces Inocentes; i loro nomi sono: Alberto Patishtán Gómez, Rosario Díaz Méndez, Pedro López Jiménez, Alfredo López Jiménez, Juan Collazo Jiménez, Alejandro Díaz Santis, Enrique Gómez Hernández y Juan Díaz López.
Il governo del Chiapas, con Juan Sabines Guerrero al potere, sta conducendo ostinatamente una guerra sporca e mediatica contro qualsiasi persona e organizzazione che lotti per l’autonomia dal principio universale della libera autodeterminazione, arrivando ad essere complice e responsabile – in maniera diretta o indiretta – della strategia di occupazione militare e offensiva paramilitare che si aggiunge al Chiapas in un territorio convulso. Nonostante tutto Sabines vuole mantenere la sua immagine pubblica impeccabile, per cercare di ottenere una poltrona all’ONU. Ci riuscirà?
Pretendi dal Governo del Chiapas e del Messico la libertà di Rosa López Díaz. Scrivi un testo con parole tue nel formulario che si trova sulla destra in alto di QUESTA PAGINA, o copia e incolla testo che segue:
ROSA LOPEZ DIAZ SI TROVA IN PRIGIONE PER UN DELITTO CHE NON HA MAI COMMESSO: PRETENDO LA SUA LIBERTA’ IMMEDIATA E INCONDIZIONATA, COSI’ COME QUELLA DEI SUOI COMPAGNI DI LOTTA.
Dalla CGT invitiamo a scrivere le parole di Rosa: “invito la società, i compagni e le compagne in lotta a continuare a pretendere la vera giustizia a cui tutta la popolazione del Messico aspira”.
Per un mondo senza sbarre né frontiere. Dove comincia la lotta comincia la libertà.
Campagna proposta dalla CGT
ROSA LOPEZ DIAZ
Scheda Personale
dal sito del Gruppo di Lavoro No Estamos Todxs
DATI PERSONALI
Nome e Cognome: Rosa Lopez Diaz
Data di nascita: 2 Dicembre 1978
Luogo di nascita: San Cristobal de las Casas.
Stato civile: Coppia di fatto
Lingua: Tsotsil
Numero familiari: 1 figlio di 3 anni (più uno di 4 anni, morto il 26 ottobre 2011) e il compagno Alfredo, detenuto.
Domicilio attuale della famiglia: Jardin de Nuevo Eden, Teopisca. Il figlio vive con lei.
Organizzazione: Solidarios de la Voz del Amate
Incarico nella comunità: non ha incarico nella sua comunità
Occupazione: Commerciante di abiti e accessori
Pratica Penale: 056/2007
DETENZIONE
Rosa Lopez Diaz fu arrestata il 10 maggio 2007 insieme a suo marito nel parco centrale di San Cristobal de las Casas, da alcune persone vestite in abiti civili. La gettarono immediatamente a terra. Non si identificarono, sentì che il suo partner (il compagno Alfredo) chiese loro di identificarsi però non lo fecero. La condussero fino ad una camionetta e la sdraiarono, mettendole un piede sopra. Le bendarono gli occhi. Trascorso un tempo la gettarono in un luogo che teneva foglie secche nel suolo. Senza levarle la fascia dagli occhi cominiciarono a picchiarla. Si misero a torturarla coprendole la testa con una busta mentre le tapparono la bocca mettendole uno straccio bagnato con l’intenzione di asfissiarla. La colpirono allo stomaco.
Rosa chiese loro di fermarsi perché era incinta ma non si fermarono.
Dopo la riportarono sulla camionetta e la condussero in un luogo sconosciuto.Qui capì che era sola, ossia che non stava con il suo compagno. La tennero inginocchiata, ammanettata e con gli occhi bendati. Rosa chiese loro: “Cosa sta succedendo?”. Le risposero: “Questo non ti importa, perché ora sei finita”.
Rosa ci racconta: “Piansi, piansi, perché non sapevo cosa mi stava succedendo, piansi per la mia famiglia, per la mia mamma. Non saprei come descrivere la paura che sentii.” I poliziotti continuarono gridando: “Da qui non ti salverai. Da dove ti porteremo, non uscirai”. Dopo gli aggressori abbandonarono la camionetta e dissero a Rosa: “Non ti muovere. Se fai qualcosa, ti ammazziamo”.
Approssimativamente 40 minuti più tardi la portarono nella stessa casa dove tenevano imprigionato Alfredo. La fecero sedere contro la parete, ammanettata, con gli occhi bendati e iniziarono a colpirla. Ripresero a torturarla. Con uno straccio umido coprirono il suo viso e sopra misero una busta di plastica. Intanto le colpivano lo stomaco. Gli aggressori le dicevano: “Quando vorrai parlare muovi la testa”. Rosa scalciava perché si sentiva asfissiata. Le tolsero la busta e le diedero tre schiaffi. “Dicci dove la tieni. Non fare la finta tonta, sai bene di chi stiamo parlando”.
La portarono in un’altra stanza. Nell’interno della stanza la denudarono e subì un abuso sessuale, la toccarono in tutte le parti del corpo, minacciando di violentarla. Le spiegarono che volevamo che lei ammettesse il sequestro di Claudia Estefani. Rosa piangeva e supplicava che non le facessero niente, che lei non aveva sequestrato nessuno. “Come posso dire qualcosa che non ho fatto?”, domandò Rosa.
Uno degli aggressori la buttò sul pavimento, altri due la tenevano, e Rosa sentì che qualcuno le si mise sopra, con l’intenzione di violentarla. Rosa racconta che in quel momento non ne potè più e disse: “non mi violentate, sono incinta” e uno dei suoi aggressori le disse: “Se confessi, non ti facciamo niente”. A quel punto Rosa disse loro di sì, che aveva sequestrato, sebbene fosse falso.
Così la sollevarono, la fecero uscire dalla stanza e la lasciarono sola in casa. All’improvviso ritornarono e Rosa ascoltò le grida di suo marito, Alfredo. Rosa ci riferisce: “Dissi , Grazie a Dio. È vivo”. Aveva pensato che lo avessero ammazzato.
DICHIARAZIONE
Da lì furono condotti al Pubblico Ministero, dove ricevettero nuovamente minacce di morte da parte di alcuni uomini di cui Rosa non conosce nè i loro nomi né i loro incarichi. La obbligarono a firmare un foglio in bianco. In questi uffici potè parlare finalmente con il suo compagno Alfredo e gli chiese se sapeva perché li tenevano lì. Alfredo le raccontò che suo cugino aveva “rubato” la fidanzata, che in questi villaggi significa che la fidanzata va con suo marito senza che questo paghi la dote. “Cose da uomini” dice Rosa.
Rosa non ha mai avuto accesso a un traduttore qualificato che conoscesse la lingua e i costumi tsotsil. Nella dichiarazione il suo difensore di ufficio Joaquin Dominguez Trejo fu presente solo in una parte. Le lessero la dichiarazione, ma non la capì, senza il traduttore non comprese i termini giuridici. Per questo Rosa non era d’accordo, ma la obbligarono a firmare.
Quindi la trasferirono al carcere CERSS n°5 de San Cristobal de las Casas accusata di sequestro. C’è da aggiungere che Rosa non ricevette mai cure mediche per la tortura, sia fisica che psicologica, che subì.
PROCESSO
Trascorsi 14 mesi dal momento della detenzione la sentenziarono a 27 anni, 6 mesi e 17 giorni. Lei si appellò alla sentenza, e la ridussero di 17 giorni. Il 13 aprile 2009 fu l’ultima volta che vide il suo avvocato.
CONDIZIONI IN PRIGIONE
Rosa soffre di forti dolori alle spalle da circa due anni. Infatti la fa soffrire l’ora della passeggiata. Soffre forti dolori di testa e febbre. Ha un’ernia ombelicale che mette in grave pericolo la sua vita. Non ha ricevuto cure mediche sebbene le abbia sollecitate varie volte e lo abbia denunciato pubblicamente.
Rosa non ha sufficienti entrate economiche per sostenere la sua famiglia.
IMPATTO DELLA DETENZIONE SULLA FAMIGLIA E/O LA COMUNITA’
L’impatto sulla sua famiglia è stato molto grande a livello psicologico e di salute, poiché le malattie delle quali soffre la famiglia si sono aggravate per l’impatto emozionale derivato dalla reclusione di Rosa.
Rosa era incinta di 4 mesi quando la torturarono. Suo figlio nacque con paralisi cerebrale, molto probabilmente questo fu causato dalle differenti forme di tortura che subì durante la detenzione. A causa della sua malattia, il figlio Natanael è morto lo scorso 26 ottobre 2011, a 4 anni di età.
Rosa fa parte dell’organizzazione di LOS SOLIDARIOS DE LA VOZ DEL AMATE. Dalla prigione Rosa ha denunciato in varie occasioni il trattamento subito e le condizioni generali del settore femminile del CERSS n° 5 de San Cristobal de las Casas, così come le ingiustizie che stanno vivendo per le politiche del mal governo.
Rosa ha digiunato per 39 giorni, durante la protesta dell’ottobre 2011 organizzata nel carcere dov’è detenuta. C’è da ricordare che durante il suo digiuno, Rosa ricevette in varie occasioni minacce e osteggiamenti per obbligarla a lasciare la sua protesta, la quale aveva come obiettivo esigere la sua libertà immediata così come quella dei suoi compagni di lotta.