Peña Nieto promette riforme e reprime la protesta.


Messico, Peña Nieto promette riforme (e reprime la protesta)

Federico Mastrogiovanni

3 dicembre 2014

Nell’anniversario dell’insediamento, il presidente illustra un piano poco credibile per rimettere ordine nei rapporti tra polizia e istituzioni corrotte e criminalità organizzata. Continuano ovunque le proteste per chiedere verità sulla sparizione e strage dei 43 studenti

A più di due mesi dalla sparizione forzata di 43 studenti della scuola di Ayotzinapa e l’uccisione di altri sei, non si placa la protesta della società civile messicana. Il primo dicembre era una data importante, il giorno in cui, due anni fa, ha prestato giuramento il presidente della Repubblica, Enrique Peña Nieto e già allora, nel 2012 il primo dicembre si è caratterizzato per proteste di massa dirette al neopresidente e al suo Partito della Rivoluzione Istituzionale (PRI), tornato al potere dopo 12 anni lontano dal governo.

In molti, dalla sparizione degli studenti in poi chiedono che Peña Nieto rinunci, e che si vada a elezioni anticipate. In molti lo hanno fatto di nuovo il primo dicembre con una grande manifestazione pacifica finita male dopo che il corpo di polizia dei granaderos, l’ha dispersa con la violenza. Molte persone sono state ferite dalle manganellate delle forze dell’ordine, tra queste anche alcune donne e ragazzi, colpiti alla testa e al volto.

Il 27 novembre scorso, a due mesi esatti dalla desaparición forzada dei 43 studenti di Ayotzinapa, il presidente Peña Nieto, in un discorso di 46 minuti definito “conferenza stampa” ma che non ha previsto alcuna domanda, ha presentato un piano in 10 punti per risolvere il grave problema della sicurezza in Messico. Nel suo discorso ha menzionato due volte l’espressione “desaparición forzada”, che implica la partecipazione in un sequestro di forze appartenenti allo Stato, sia militari che civili, per azione o per omissione, ma non l’ha mai applicata alla sparizione forzata dei 43 studenti di Ayotzinapa. Nel loro caso ha parlato di semplice privazione illegale della libertà, benché siano stati sequestrati da agenti della polizia municipale di Iguala, con l’appoggio del presidente municipale e con la colpevole distrazione dell’esercito a cui i ragazzi braccati si erano rivolti per chiedere aiuto. Parlando del caso di Iguala Peña Nieto ha parlato di “debolezza istituzionale” invece che di responsabilità diretta delle istituzioni municipali, statali, federali e militari.

I dieci punti di riforma annunciati dal presidente si caratterizzano per la genericità degli interventi. Si parte dalla proposta, al primo punto, di commissariare i municipi in cui ci siano infiltrazioni del crimine organizzato. Una misura potenzialmente positiva, ma sono molti i municipi che, proprio per espellere i rappresentanti dei partiti politici, collusi e legati a doppio filo al crimine organizzato, stanno percorrendo la strada dell’autonomia, prevista dalla Costituzione messicana, alternativa a quella di un controllo rafforzato dei poteri federali che spesso sono collusi o indifferenti verso il crimine locale.

Si parla inoltre di chiarire ruoli istituzionali nelle investigazioni, la costituzione di polizie statali uniche (con enormi costi da parte della Federazione), una blanda riforma del sistema giudiziario, senza specificare in che modo dovrebbe funzionare meglio, la creazione di un pubblico ministero speciale anticorruzione.

Il punto che più ha suscitato proteste e ilarità sui social network è il quarto: la creazione di un numero di telefono federale per le emergenze (già esiste lo 066), che sia, come negli Stati Uniti d’America, il 911, a causa della familiarità dei messicani con i film e le serie statunitensi (sic). In generale le misure presentate sono le stesse già proposte nei governi precedenti, alcune (come la polizia statale) non sono state mai approvate. Ciò che appare chiaro è che di fronte all’opposizione e alle proteste generate dall’impunità, Peña Nieto ha deciso di attribuire la responsabilità ai governi municipali, reiterando l’estraneità del governo federale alle infiltrazioni mafiose e alle collusioni con i gruppi criminali.

Alla fine del suo discorso Peña Nieto ha ripreso il motto di questi ultimi mesi: “Todos somos Ayotzinapa” (Siamo tutti Ayotzinapa). In risposta a quella che molti hanno percepito come una provocazione, uno degli studenti della Normale di Ayotzinapa, al termine della manifestazione del 1 dicembre ha risposto alle parole del presidente: “Vogliamo dire a Peña Nieto che lui non è Ayotzinapa. Ayotzinapa siamo noi e tutta la gente che ci ha appoggiato ovunque siamo andati e che ci ha offerto solidarietà. Come Ayotzinapa abbiamo dignità. Ayotzinapa sono i contadini di origine indigena e non i politici ipocriti collusi con la delinquenza organizzata”.

La protesta si mantiene per lo più pacifica. Ad ogni manifestazione vengono arrestate e picchiate decine di giovani, come i 31 ragazzi arrestati il 20 novembre scorso. Sono per lo più accusati di terrorismo, portati in carceri federali per poi essere generalmente rilasciati per mancanza di prove. Venerdì 28 novembre Sandino Bucio, uno studente di filosofia dell’Universidad Nacional Autónoma de México (UNAM) è stato caricato su un’auto senza insegne da un gruppo di uomini armati con armi da assalto e portato via in pieno giorno in una delle uscite dell’università a Città del Messico. Si trattava di agenti federali in borghese. Il giovane dopo essere stato picchiato, minacciato e torturato è stato rilasciato, anche grazie all’intervento di amici, colleghi e società civile. Sandino, rilasciato poche ore dopo, è accusato di aver fatto parte di un gruppo di incappucciati che durante la manifestazione del 20 novembre lanciava molotov alla polizia.

Taibo

(Gli scrittori Juan Viloro e Paco Ignacio Taibo II partecipano alla protesta – Getty Images)

In appoggio ai familiari dei 43 desaparecidos si aggiungono sempre più voci di gruppi della società civile, messicani e stranieri. Il 30 novembre la dirigente storica delle Abuelas de Plaza de Mayo, Estela de Carlotto ha raggiunto alcune madri dei normalistas di Ayotzinapa nella sede del Centro Miguel Agustín Pro Juárez, uno dei centri di difesa di diritti umani più importanti del Messico, che accompagna i familiari delle vittime. La “abuela” argentina, che dopo 36 anni ha ritrovato suo nipote, nato da sua figlia desaparecida in un campo di concentramento durante la dittatura, ha esortato il popolo messicano a far fronte comune in appoggio alle famiglie di Ayotzinapa “Se questi crimini passeranno impuni c’è il pericolo che continuino ad accadere”.

L’incontro è stato molto forte emotivamente per le madri dei normalistas presenti: “Quello che ci ha detto è che dobbiamo essere forti. E lo saremo. Ci ha raccontato come è stato passare per quello che stiamo vivendo noi e per questo motivo sentiamo che ci capisce” ha affermato Hilda Hernández Rivera, madre di César Manuel González, uno dei 43 di Ayotzinapa. “All’inizio non parlavamo a causa di tanto dolore” ha dichiarato Cristina, madre di Benjamín, un altro dei 43 “ma adesso cominciamo a parlare e non ci azzittiranno. Al governo diciamo: non veniteci a dire che i nostri figli sono nelle fosse quando sappiamo che non li state nemmeno cercando!”.

@Fedemast  http://www.pagina99.it/news/mondo/7626/Messico–Pe-a-Nieto-promette.html

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